giovedì, giugno 18, 2009

Nel colpevole silenzio

Ci vuole coraggio per scendere in piazza contro i poteri forti in Iran. Non è come qua, dove ogni politico si vanta delle critiche ricevute perchè dice di "dare fastidio" ai poteri forti, fammi il piacere. In Iran se sgarri contro gli ayatollah in pochi minuti finisci in carcere, se sai qualcosa che a loro potrebbe fare comodo ti ci torturano per direttissima per farti aprire la bocca.
Tre giorni fa una massa di persone - in maggioranza giovani istruiti e di modi occidentalizzanti, a cui in seguito si sono aggiunte migliaia di persone fino ad arrivare a molti ( Cinquecentomila? Un milione? ) ha sfidato il divieto del regime di manifestare ed è scesa in piazza perchè pensano, e la cosa non sembra molto strana, che le ultime elezioni siano state falsificate a favore di quello che piaceva agli ultrareligiosi, il mio personale amico Ahmadinejad del quale ho già parlato molto bene in passato definendolo un lucido pazzo pericoloso. La gente si è riversata in strada con un rischio enorme, sperando di poter fare valere i loro pochi diritti.

Pensate che si aspettino qualcosa da noi, che da anni auspichiamo un momento come questo? Forse un po' di sostegno morale, un forte supporto da parte dei popoli liberi del mondo, un far sapere al regime che non può sparargli addosso perchè tutti i nostri occhi e i nostri cuori sono con loro, casomai una cosa simbolica ma che non li abbandoni alla imminente e spietata rappresaglia? Quella gente porta cartelli in inglese non perchè è trendy, ma perchè sanno che noi li vediamo. Where is my vote?

Invece niente, perlomeno da chi abbiamo eletto, noi, liberamente. Obama? Non si vuole immischiare, cavolo tutti ti amano, usa quella popolarità per un buon fine! Mettiti alla prova, non tirarti indietro! Berlusconi? Io non l' ho sentito, ditemi voi. Anzi, Frattini, che è un bravo ministro ma a volte molto diplomatico, dice che l' Iran è ancora invitato al G8, ha ancora un fido di qualche decina di morti prima di riparlarne ( almeno minaccia di escluderli, Frattini! Quando avranno l' atomica cosa gli faremo, gli regaliamo il Colosseo? ).

Capisco che non si vogliano mettere in pericoli i futuri quanto inutili negoziati per il nucleare iraniano, ma se stiamo zitti ora ci mostreremo:
>deboli nei confronti degli ayatollah
>disinteressati ai nostri valori e doveri di popoli liberi
>infingardi e vigliacchi verso la gente che è andata in piazza prendendosi un grosso rischio, e che forse si aspetta qualcosa da noi

Noi occidentali siamo vecchi, ormai gli altri ci danno per spacciati ( non è detto che abbiano ragione ). Abbiamo il vantaggio di avere libertà di pensiero, azione e parola, oltre ad un certo peso non solamente fisico. Se non risponderemo ai doveri che vengono da questi doni saremo anche inutili in questa umanità.





martedì, gennaio 06, 2009

Una via per la pace?

Ogni volta sembra la stessa cosa. I cattivi israeliani, vittime di solo qualche innoquo razzo lanciato contro le loro case e scuole da qualche palestinese frustrato e annoiato, reagiscono con la loro violenza massacrando tutti i civili che capitano a tiro. 

Invece non è così. Primo: i razzi minacciano circa il 10 % della popolazione israeliana, non sono caramelle. Inoltre dall' amico Iran gli uomini di Hamas continuano a ricevere ogni volta missili più sofisticati ( adesso hanno i Grad iraniani da 122mm, migliori degli improvvisati Qassam di prima ) e potenti per estendere la propria minaccia sul loro nemico giurato.  Nessun paese che tenga al proprio popolo può tollerare che viva part time in un bunker: se la Slovenia ci lanciasse razzi Grad su Gorizia o Monfalcone non reagiremmo diversamente da Israele, almeno spero. Quindi la prima parte dell' operazione israeliana, cessare il lancio di razzi, è molto giustificata. 

Secondo: Israele non sta facendo una guerra contro i palestinesi, sta combattendo contro Hamas. Questa organizzazione terroristica ha assunto il controllo della striscia di Gaza ( una delle due principali parti dei territori palestinesi ) attraverso sciagurate elezioni tenutesi nel 2006; dopo aver preso il potere, aver combattuto una guerra civile contro Fatah e averla scacciata da Gaza Hamas ha pensato di fare di quella striscia di terra il proprio regno, imponendo le solite leggi che vediamo quando un partito islamista prende il potere ed usandola come base per i suoi attacchi contro Israele facendosi scudo con la popolazione civile ( per loro i civili non hanno avuto altro uso che questo, a dispetto di quanto pensino gli estimatori di Hamas ). 
Andando a leggere nel loro fantastico statuto, vediamo come questa organizzazione sia nata con lo scopo di combattere Israele, vive per fare questo. Nello stesso documento scopriamo che come obiettivo opzionale hanno anche lo sterminio degli ebrei dalla faccia della terra. La sua storia, la sua struttura, i suoi appartenenti, i suoi leaders, la sua affiliazione all' Iran fanno capire che finchè c' è Hamas così forte a Gaza non ci sarà mai la pace, nè adesso nè nel futuro, perchè Hamas vive per la guerra contro Israele, se fosse raggiunta la pace cesserebbe di esistere. I suoi obiettivi sono totalmente opposti a chi vuole la calma in quelle terre: loro necessitano del continuo contrasto con gli ebrei per avere un senso. Rappresentano benissimo quella parte di palestinesi che, cresciuti dagli estremisti nell' odio ed indottrinati nell' ignoranza trova come obiettivo di vita la guerra, che si identificano con la lotta contro il nemico che considerano causa di tutte loro sofferenze, anche quelle causate dai loro stessi leaders.
Non so se la guerra sia il metodo giusto per risolvere queste cose, soprattutto alla luce delle perdite civili, ma se Israele riuscirà a far fuori Hamas allora un enorme ostacolo alla pace sarebbe levato dal cammino; quello che non resta chiaro è il dopo. Ridotte le capacità militari dei terroristi, l' esercito israeliano non potrà semplicemente andarsene, oppure le cose tornerebbero al punto di oggi. Dovrà in qualche modo arrangiare la salita al potere a Gaza di qualcuno che sia moderato come Abu Mazen, ma allo stesso tempo non visto con sospetto ai palestinesi, che potrebbero considerarlo un pupazzo degli ebrei. 
Sono queste due condizioni a rendere difficile la questione, qui passa la differenza fra un regime change che possa velocemente portare ad una agognata pace oppure una operazione militare fine a sè stessa senza risultati duraturi.  Questa guerra potrebbe migliorare le cose nei Territori come peggiorarle terribilmente.

mercoledì, novembre 05, 2008

The End.

E’ da un anno che seguo questa campagna, adesso mi trovo alle 6 del mattino dopo ore di televisione a scrivere quello che per me ne è l’ atto finale. E’ andata male, per quello che avrei voluto. Mi dispiace per John McCain, per il suo sogno di diventare Presidente della nazione di cui è innamorato, che ha servito per tanti anni, anche con sofferenze. Mi dispiace per l’ America che non ha saputo riconoscere il suo valore in tempi in cui sarebbe stato molto utile, non ha saputo capire un uomo che l’ avrebbe servita fino in fondo. Mi dispiace per Sarah Palin, una principiante promettente, che adesso probabilmente verrà macinata nel gioco della politica. Mi dispiace per un sacco di cose, porca paletta.


E’ la democrazia, o ciò che vi arriva più vicino. Dopo otto anni della presidenza più impopolare che si possa ricordare ( sulla quale solo la Storia potrà essere un giudice affidabile ) una vittoria dello stesso partito, seppur con un uomo completamente diverso da George W Bush, sarebbe stata epica. Aggiungiamo che nell’ attimo in cui per McCain vi era speranza una crisi economica gigantesca gli ha tagliato le gambe, favorendo i democratici, che il gioco sporco di Obama sui finanziamenti gli ha fatto trovare 600 milioni di dollari di fondi, contro i pochi spiccioli del finanziamento pubblico del repbblicano, che i media sono stati vergognosamente di parte appoggiando il “loro” Obama fin dall’ inizio, senza i quali la corsa del senatore nero si sarebbe fermata allo scontro con l’ altro gigante, la Clinton. Il repubblicano ha raggiunto un grande risultato finendo a meno 5 % , in una  elezione che avrebbe dovuto essere una cascata di voti per il suo rivale, a quanto dicevano gli "esperti".  Aggiungiamo che McCain non sa fare campagna, non è bravo sul palco durante il comizio, non sa muovere le masse, non è neanche in gamba con la macchina della politica. Di base, non sa mentire. John McCain è stato un pessimo candidato. Ma sarebbe stato un grande Presidente, un uomo forte nell’ animo, umile, moderato, esperto, innamorato della sua nazione.


E adesso? Amando l’ America più di quanto ami i repubblicani, più di quanto ami McCain, spero che Obama mi sorprenda. Che i dubbi che avevo per il fatto che è un uomo molto di sinistra, che girava con gente poco raccomandabile, che più volte ha detto una cosa e ne ha fatta un’ altra, che in fin dei conti non ha mai fatto niente per dar prova di poter essere un buon Presidente siano infondati. Spero che si riveli capace di mantenere alto il vessillo di libertà che questo paese rappresenta in tutto il mondo, di contrastare i nemici della nostra civiltà, di risanare l’ economia senza spennare gli americani come un Padoa Schioppa dal Kenya. Che il suo “cambiamento” non stravolga gli ideali e i valori che hanno reso gli Stati Uniti la più grande nazione libera al mondo. Spero che l’ elezione di un nero risani la spaccatura che si è creata nella popolazione americana e che anche questo Barack Obama sia un buon Presidente.




Ad ogni modo McCain per me una differenza l’ ha fatta. E’ stato l’ unico politico nel quale, nella mia breve attività di osservatore, mi sia potuto ritrovare. Che senza parole altisonanti mi abbia ispirato, e non lo scorderò. Il suo adesivo resterà incollato qui di fianco al mio schermo.


“Nothing brings greater happiness in life, than to serve a cause greater than yourself”


Grazie John. Un soldato non cede mai senza una bella lotta.


sabato, ottobre 18, 2008

Può John ancora vincere?

Molti dal campo di Obama cantano già vittoria. Tutto è a suo favore, la crisi economica ha distrutto il vantaggio che McCain aveva su di lui, è stata sfruttata bene dai democratici che tuttavia ne sono responsabili quanto i loro avversari. Il mondo liberal, i media, gli europei, Fidel Castro e tanti altri sono pronti a festeggiare il suo trionfo, quando il mondo verrà aggiustato e l' America diventerà una vera democrazia, un felice stato assistenziale che pensa al posto dei suoi cittadini.


Il punto è: malgrado la situazione sfavorevole, il fuoco di sbarramento di televisione e giornali per proteggere il fighetto dell' Illinois, i sondaggi che lo danno a +7 è possibile ancora per J0hn Sydney McCain vincere le elezioni entro il 4 Novembre?
E' possibile, ma è difficile. Ci sono alcune variabili che potrebbero aiutare.
Primo: l' economia si stabilizza, la paura passa. Sembra difficile, ma si può sperare in una diminuzione dell' attenzione sull' argomento. Oppure una situazione nella quale il repubblicano venga considerato un buon leader nella crisi.
Secondo: per qualche motivo, l' attenzione si sposta sulla sicurezza nazionale. La Russia potrebbe fare un' altra mossa azzardata, oppure Israele potrebbe fare il suo attacco agli stabilimenti nucleari iraniani, cosa non impossibile. In questo campo vincerebbe il senatore arizoniano.
Terzo: qualcosa di ancora più torbido esce dal passato di Obama. L' amicizia con il bombarolo Ayers, i venti anni al fianco del pastore razzista Wright, l' affiliazione al corrotto Rezko, il finanziamento della organizzazione ACORN che stava mettendo su la più grande frode elettorale degli ultimi decenni in America non hanno scalfito molto, ma nel lungo termine potrebbero influenzare, oppure qualcosa che smascheri Obama per quello che è, ovvero un liberal molto di sinistra anche per la mentalità europea ( ha parlato qualche giorno fa di ridistribuzione della ricchezza, abbandonata anche da Veltroni. Quanto vorrei dire agli americani che neanche in Europa va più questa moda ), non un democratico moderato.
Quarto: la campagna di McCain in qualche modo si movimenta, guadagnando spazio sui media che ormai pensano la vittoria del loro candidato un fatto appurato. E' ironico pensare che se avesse scelto al posto della controversa Palin il più normale Romney, espertissimo in finanza, John adesso navigherebbe in acque migliori. Ma una maggiore attività del suo campo, un uso migliore del tempo loro concesso in televisione per esprimere meglio i programmi e colpire l' avversario potrebbe lentamente scavare dei punti nel castello di Obama, dove tutti ormai brindano già in anticipo, molti sono già ubriachi. In più è probabile che andando fino al 4 la gara si riavvicini per le normali dinamiche elettorali ed il fatto che i grossi vantaggi normalmente tendono a ridimensionarsi. Non bisogna darla persa, c' è ancora molta strada, molto in salita.

Un' ultimo appunto. Qualcuno ha detto che la maggiore speranza dei repubblicani sia un colpo di scena di al Qaeda: un attentato, oppure anche una cassetta che parli delle elezioni, per spostare voti. Da sostenitore di McCain spero che non siano i terroristi a modificare la corsa, anche se lo facessero vincere. Mi sembra poi strano che gli estremisti islamici siano così stupidi da dare una mano ai repubblicani. Non perchè Obama sia un terrorista o un islamico, ma perchè è chiaro che con lui la guerra al terrore sarebbe molto più dolce.

domenica, settembre 28, 2008

Il primo dibattito: la mia cronaca confusionaria

Questi sono appunti presi d' istinto mentre vedevo il dibattito, che ho cercato di seguire con imparzialità buttando giù le mie impressioni. Spero che possa essere utile per chi se l' è perso.



Dibattito presidenziale, 26 Settembre 2008


Prima domanda: come si esce dalla crisi? Obama sottolinea l’ importanza del piano. Anche McCain lo fa. Obama attacca, voi repubblicani avete lasciato il mercato troppo libero in questi otto anni. Mccain rincara dicendo che il potere ha cambiato i repubblicani, non il contrario. Quali sono le differenze fra voi due? McCain prima delinea la sua linea di forte leadership per uscire dalla crisi, poi sottolinea la sua battaglia contro la spesa incontrollata del governo, gli earmarks, accusando obama di averne fatti per 932 milioni di dollari. O accusa M di tagliare le tasse a ricchi e grandi aziende, M di volere introdurre altre spese. Discussione sulle tasse, ancora. O sembra più sicuro di prima, M parla poco ma chiaro. O attacca molto sulla questione delle tasse, M sbotta e contrattacca dicendo che O non fa quello che dice. M è un po’ off target, non ribatte sugli argomenti. Mi sa che questa va ad O: è stato più sugli argomenti, M ha cercato di dimostrare che lui non è affidabile.

Cosa lascereste da parte per finanziare il bailout plan? O dice un sacco di cose, parla così tanto che gli dici ok ti voto ma stai zitto. M continua sul suo punto: reduce spending. Mettere sotto controllo le spese pazze del governo, anche quelle sulla difesa.

Notare: M punta su quello che ha fatto nella sua carriera, O su quello che vuole fare. A buon intenditor.

Il moderatore è in gamba, dice che effettivamente nessuno dei due ha grandi soluzioni per far fronte ai soldi del bailout. M propone di congelare gli aumenti delle spese, O all’ inizio ondeggia poi dice che si può fare ma non per tutto, quello che ha detto M.

Il dibattito continua fino al colpo che ci aspettavamo da O, ovvero che M ha votato il 90% delle volte con Bush che ci ha portati in questa situazione. M ribatte, meno male, che lui non sta simpatico a tutti come O e non è un grande amico di Bush dopo avergli rotto le scatole varie volte.

Si passa all’ Iraq. M parla del suo supporto per il surge, si trova a suo agio. Naturalmente O non parla del surge sul quale ha sbagliato ma torna alla sua decisione di non fare guerra all’ Iraq, dice che la guerra è stata uno spreco e lui l’ aveva detto mentre M stava con Bush, che al Qaeda è più forte di prima adesso.

M ribadisce: il prossimo presidente non dovrà pensare a perché siamo in Iraq ma come uscirne, quando e cosa lasciarsi dietro; O sul surge ha sbagliato tutto. O qui sbaglia e praticamente dice su queste cose rivolgersi al mio vice che ha molta più esperienza di me.

O accusa M di essersi sbagliato all’ inizio. M prende l’ occasione “ Senator Obama doesn’ t seem to know the difference between strategy and tactic” per sottolineare che di queste cose non capisce niente. Incrociano le spade per un po’, sembra che McCain abbia vinto questo turno, anche se ancora non è del tutto on target.

Afghanistan. Comincia O, secondo il quale servono più truppe prese dall’ Iraq per sistemare la situazione. Per M non è una questione di truppe, ma di strategia, di collaborazione con il Pakistan, sul quale accusa O di essere stato imprudente a dire che lo attaccherebbe. O non se la lascia sfuggire e dice che M è stato più volte imprudente anche quando cantava Bomb Iran od invocava un attacco alla corea Nord.

M sfodera l’ arma migliore, racconta le sue posizioni dal 1983 ad oggi su varie guerre, facendo capire che uno come lui non è un guerrafondaio, ma uno che vuole vincere le guerre che meritano, mentre O non può parlare di queste cose perché non ne ha esperienza. Infatti O ripete le cose di prima, su questo non riesce a ribattere. Nel frattempo siparietto sui braccialetti che portano i candidati, dati dalle madri di soldati morti recentemente: quella di M gli ha chiesto che la sua morte abbia un senso, che non permetta di essere sconfitti, quella di O che nessun altro soldato muoia invano.

Qui c’ è un punto per M, infatti dopo che O ripete ancora l’ importanza dell’ Afghanistan sull’ Iraq John dice “dopo tanto che ne hai parlato, ci si aspetterebbe che tu ci fossi andato una volta” infatti O ci ha fatto un salto solo ultimamente per la campagna, mai prima.

Anche questo punto decisamente a McCain, qui l’ esperienza e la conoscenza della materia si vede oltre ad una certa risolutezza, mentre O si difende ma va avanti per nozioni teorico accademiche, evidentemente non provate sul campo.

Iran. Parte M molto deciso. Nessun nuovo Olocausto, l’ Iran è una minaccia da prendere con tutta la serietà. Lancia poi una idea appassionante, la Lega delle Democrazie, un organismo internazionale composto dai paesi liberi del mondo che si sostituisca all’ inutile Onu, che aiuterebbe anche in questo caso. O dice grossomodo le stesse cose, aggiungendo che con i dittatori bisognerebbe parlare. M lo combatte su questo, accusandolo di voler parlare con Ahmadinejad ( il cui nome per tre volte non riesce a pronunciare, con uno strano risultato ). Obama riesce a difendersi questa volta, comincia una discussione su questo argomento importante ma non centrale.

Anche questa va a McCain, ma stavolta le differenze fra i due sono minori.

Russia. Dicono grossomodo le stesse cose, McCain con più convinzione, che la Russia sbaglia e si dovrebbe mettere Georgia ed Ucraina sotto l’ ombrello NATO. Bene.

Sicurezza nazionale e terrorismo: M dice che siamo più sicuri di una volta, ma non ancora del tutto, c’ è ancora molto da fare. Obama concorda, dicendo che però bisogna rivalutare l’ immagine del Paese.

Considerazioni finali. M sottolinea la sua esperienza e le sue capacità per essere comandante in capo, mentre O mancandone dovrebbe fare qualche anno di tirocinio alla casa bianca prima di funzionare. I suoi punti principali sono prosperità, riforma e pace.

Obama racconta la storia di suo padre, che voleva andare in America perché sapeva che lì ce la puoi fare, e dice che adesso sono pochi nel mondo che la pensano così. Lui vuole sistemare questa cosa.

Considerazioni mie.

Con tutta l’ imparzialità che riesco a raccogliere, penso che come previsto il dibattito vada a McCain. Nella prima parte, però, è stato Obama a tenere campo sull’ economia, dove è sembrato più capace di parlare delle cose giuste, mentre l’ altro si è attaccato troppo a questioni come ridurre la spesa senza spaziare di più. Quando si è arrivati alla politica estera il vero Mccain è uscito ed ha sfoderato tutta la sua esperienza ed abilità, parlando con disinvoltura e calma, tanto che Obama poteva solo giocare di difesa ripetendo le sue posizioni teoriche. Ci sono stati attacchi da entrambe le parti, forse è stato il repubblicano a sparare di più, a volte però non centrando.

Quanto ad atteggiamento, il democratico è chiaramente più scenografico, più grande e con una voce potente, anche se il suo parlare altisonante non mi convince, non sembra cristallino. Il suo stile di oratore ha traballato risentendo dell’ insicurezza su alcuni argomenti, si vedeva. E’ uscito un po’ ferito dallo scontro sulla politica estera, ma più volte ha ribattuto con destrezza.

McCain è un uomo calmissimo, forse troppo poco aggressivo finchè non si è arrivati all’ Iraq, però evidentemente sicuro delle sue posizioni. Quando è ispirato, non lo è stato tutta la sera, sembra tremendamente più convincente dell’ avversario.

giovedì, settembre 11, 2008

11 Settembre

Poco da dire, altrimenti le parole si sprecherebbero. Auguri al mio blog per i due anni di vita ma soprattutto ricordo cosa successe sette anni fa. God bless America.

domenica, giugno 22, 2008

Barack Obama mi perseguita

Accendo la televisione. La faccia sorridente, scura e con quel neo di fianco al naso di Barack mi saluta. Apro il giornale. Il nostro amico è di nuovo lì, ritratto mentre ad un comizio sta per dire la cosa più significante del mondo. In un angolino della pagina, quello che di solito mentre maneggi il giornale viene più ciancecato, c' è il piccolo e vecchio McCain a ricordare che ancora alla Casa Bianca si gareggia in due. Mi rifugio in bagno. Mi siedo, forse lì non mi cercherà. Sul tavolino dei giornali c' è Io Donna della settimana. In copertina, a grandezza naturale, mi guarda mentre sono in quella posizione poco altezzosa Barack Obama, ride. E' così sexy, solare, positivo, di moda. Mi dice: vieni anche tu. Unisciti alla schiera di europei con cui basta proclamare motti a tre parole e dire speranza o cambiamento senza un motivo per essere convinti che sarò il migliore presidente del mondo di tutti i tempi. Io sono l' America buona, quella che non invade gli stati tirannici indifesi scalfendo la stupenda pace mondiale, quella che non inquina causando l' effetto serra ma fa andare le macchine a succo d' arancia, quella che vuole avere uno Stato pesante come da voi in Europa che entra dappertutto regolando la tua vita di cittadino suddito, quella che multiculturalismo e relativismo sono attività veramente divertenti che ti tengono la coscienza pulita, quella che ama le tasse mamma mia come mi diverto quando lavoro per 100 e subito lo Stato mi prende 50.
E' ovunque, non posso fuggire. Tutti gli leccano non dico cosa, giornali, telegiornali, approfondimenti, articoli, cartelloni, radio, Internet, quelli dei salotti, fini pensatori, stilisti, attori, attrici, cantanti, artisti, gente che di politica non capisce niente. Tuttavia è così di moda, come si fa a non attaccarsi al suo treno? Non ce la faccio più. Non è colpa mia: lui è venuto a cercarmi. Una volta quasi mi piaceva, come uomo politico. Poi ho capito, almeno io, che dietro le parole brillanti, i discorsi emotivi, quell' atmosfera da rinascita, quel buonismo da pelle d' oca c' è poco altro. Non c' è esperienza, non c' è nessuna prova di capacità a parte quella di parlare bene ( è un avvocato ), non c' è profondità politica dietro al personaggio da comizi. Tutte le volte che non ha parlato in astratto, ma si è buttato su argomenti concreti, ha sbagliato, come con il Pakistan od il suo piano incompleto per l' assistenza sanitaria universale. Non c' è neanche purezza: ne ha fatte come tutti gli altri, vedere Tony Rezko o Jeremiah Wright per capirci. I media, però, gli perdonano tutto. Anche escludere le ragazze musulmane con il velo dalle sue apparizioni, per evitare di sottolineare la sua provenienza islamica: l' avesse fatto McCain o la Clinton sarebbe scoppiato un caso razzismo.
Capiamoci: io non odio Barack Obama come, per esempio, qualcuno qui può avercela con Berlusconi o Bush. Temo solo che un uomo così bravo a fare campagna arrivato alla Casa Bianca faccia una enorme quantità di errori dettati da inesperienza ed ideologia, ai quali corrisponderebbero una enorme quantità di danni. Un Jimmy Carter al quadrato.

sabato, maggio 03, 2008

Perchè a sinistra sono stati asfaltati

Una batosta storica. Mai la sinistra italiana era stata così in difficoltà quando si andava a votare. Partito Democratico azzoppato sul nascere, sinistra radicale annullata, tutto il resto ridotto a niente, neanche nei sogni od incubi di chiunque un risultato così stravolgente era stato immaginato. Ora, dopo i pianti da una parte e la festa dall' altra, viene da da chiedersi giustamente perchè. A sinistra queste cose non vengono bene; invece che prendere il problema da una posizione pratica e semplice, come al solito si sono cercati motivi complicati, più vicini alla filosofia che alla cabina elettorale. Non è difficile: è democrazia. Nella democrazia il demos, popolo, sceglie chi considera più adatto a dirigere il proprio paese e risolvere le questioni che si trova davanti.
Quello che distingue queste elezioni da quelle precedenti è l' accentuarsi di alcuni problemi, entrati sempre di più nella vita di tutti, che hanno iniettato una buona dose di praticità e pragmatismo nella gente, allontanandola dalle facili ideologie. Si è votato non l' idea o credo politico, ma il programma, il capo, ciò che direttamente poteva garantire una soluzione alle questioni che ci preoccupano. Può essere considerato positivo o dannoso, al momento è così. E' questa nuova tendenza che ha scatenato la triturazione delle estreme, come Sinistra Arcobaleno od il risultato non esaltante della Destra. Pochi voti per chi offre soluzioni ideologiche a problemi reali.
D' altra parte c' è il problema del Partito Democratico e di Walter. Una formazione politica che allo stato attuale è e non può che essere in difficoltà: davanti a problemi come criminalità e tasse, che anch' essa nell' ultimo governo ha contribuito negligentemente ad aumentare, il PD doveva presentare soluzioni che non appartenevano alla sua cultura d' origine, semplicemente perchè hanno capito tutti che le soluzioni di sinistra per queste cose non possono funzionare. Così si è buttato a destra, e non ha avuto scelta, rincorrendo il programma del PdL sul suo campo con misure pressochè uguali. La gente, però, preferisce l' originale, soprattutto se la copia fino a tre mesi prima faceva il contrario di quello che predica adesso. E' finito in un buco, Veltroni: si è dovuto spostare a destra perchè le idee di sinistra hanno fallito la prova dei nostri tempi, ma in pochi vedono perchè dovrebbero votare l' imitazione invece dell' originale, scontrandosi quindi contro un muro al centro che sarà difficile da valicare.
Le cause principali del fallimento sono tutte qua. Per modestia aggiungo che possono essermene scappate alcune, ma andare a pensare al PD del Nord, alla rinascita della sinistra o strane soluzioni non li aiuterà. Semplicemente buona parte del demos ha capito che non sanno rispondere ai problemi di oggi.

venerdì, aprile 25, 2008

La lunga fine di al Sadr

Non tutti l' hanno colto, ma da un paio di mesi in Iraq si è arrivati ad un punto mai raggiunto prima. Da quando il capo sciita Moqtad al Sadr è stato attaccato dal presidente sciita Nouri al Maliki, è diventato chiaro che la guerra settaria sunniti - sciiti invocata da molti si è allontanata di un altro passo, un lungo passo. Quando a fine Marzo le truppe governative si sono mosse contro Bassora, intoccabile roccaforte della milizia privata di al Sadr, la sorpresa è stata grande. Primo motivo, il tutto è stato fatto di sorpresa, tanto che anche i comandi statunitensi non avevano dato il loro assenso all' operazione Knight Assault, secondo perchè Nouri al Maliki non si era mai comportato così duramente contro un altro sciita, tantomeno al Sadr che spesso aveva protetto dalle grinfie degli americani. Merita un buon voto per il coraggio ma un 5 per la gestione dell' operazione, il Presidente. Per attaccare si è portato dietro la formazione più giovane dell' esercito iracheno, vecchia non più di un mese, che all' assalto di Bassora ha cominciato a sfaldarsi perdendo pezzi e terreno. Sono state quindi richiamate le migliori brigate del paese, insieme all' appoggio americano e britannico, ed il rallentamento iniziale è stato superato. Le truppe del Mahdi hanno subito ingenti perdite, ritirandosi sempre più verso il centro della città. Nel frattempo cercavano di ribellarsi in tutto il sud ed a Baghdad, ma venivano domate in un paio di giorni. Dopo questo brutto periodo per al Sadr è seguita una serie di trattative, finte tregue, annunci che hanno portato ad un formale cessate il fuoco contro la milizia che il presidente ha trasformato, da una posizione di forza, nell' ordine di colpire tutte le formazioni armate ancora esistenti. Così ora le truppe governative avanzano a Bassora mentre insieme agli americani cominciano, lentamente, a stringere in un cappio Sadr city, quartiere sciita di Baghdad da due milioni di persone, per liberarla una volta di tutte dall' influenza dell' esercito del Mahdi e del suo predicatore ciccione.
Primo commento: da tenere a mente il livello raggiunto dall' esercito iracheno, capace ormai di svolgere operazioni indipendenti contro nemici ben organizzati senza grossi aiuti da parte degli americani. Dopo anni di combattimento alcune formazioni governative hanno accumulato grande esperienza, rendendole molto efficaci.
Da questa situazione esce poi un Moqtad al Sadr rimpicciolito, isolato dagli altri partiti sciiti ( che senza dubbio non lo attaccano solamente per amor di patria ), unito all' Iran in una pericolosa alleanza, patetico quando minaccia il governo mentre è chiaro che sta già facendo tutto il possibile per combatterlo. La sua formazione è divisa tra chi vuole continuare a combattere e quelli che invece vorrebbero smantellare la milizia per salvare la parte politica, che probabilmente alle prossime elezioni sarà bandita. Quello che il Time, a ragione, aveva definito l' uomo più pericoloso d' Iraq adesso non sarà inoffensivo, ma si vede superato da un paese che sta veramente cambiando in meglio.



Grazie come sempre al Long War Journal, capace di informare sull' Iraq come nessun grande giornale o canale sa fare.

martedì, aprile 01, 2008

Meno male

Aggiornamento al mio post precedente: ho appena visto la conferenza di Berlusconi su Rai2 e si è comportato molto bene, meno male. Ho visto il Silvio che mi piace.

Dov' è il Grande Comunicatore?

Dal mio ultimo post sulla campagna elettorale alcune cose sono cambiate, altre no. Eravamo partiti qualche tempo fa con un Veltroni che prometteva, diceva, trattava le cose importanti, mentre Silvio parlava in modo generico, non dei programmi, le cose importanti per gli elettori. Per cui avevo scritto "Rialzati Silvio", contraddetto da questo comportamento. E' passato poco tempo e, quasi avesse letto il mio post (non penso proprio), la campagna del PdL ha virato sui contenuti, su quello che farà al governo, sui fatti insomma. Ed ero felice, perchè finalmente si parlava di cose che interessano a chi andrà a votare. Nel frattempo, i "fuochi d' artificio" di Walter si spegnevano, aumentando anche nei maledetti sondaggi la distanza fra i due partiti. Invece, da qualche tempo, sembriamo ritornati al punto di prima. Considerando il fatto che questa campagna elettorale si sta dimostrando molto più interessante per le inedite composizioni delle parti in gioco che per programmi ed idee, dopo la fiammata del programma, con i gazebo e la possibilità di scegliere i punti più importanti per gli italiani, la spinta del PdL è andata calando in queste ultime settimane, con un conseguente riavvicinamento di WV ( non Volkswagen, Walter Veltroni ) che nella chiusura del 30 Marzo era arrivato addirittura a 6 punti, per quanto possano valere i sondaggi (ricordiamoci i comici exit polls del 2006).
Quello che a mio parere ha determinato questo calo è un problema di comunicazione, soprattutto televisiva. Non so se fosse per la stupida par condicio, per una volontà dei giornalisti di evidenziare dei discorsi di Berlusconi solo qualche punto ed in quelli di Veltroni qualcun altro, o per una effettiva mancanza di capacità da parte del PdL, ma i contenuti che abbiamo sentito di più negli ultimi giorni da quella parte sono stati brogli, par condicio, attacchi al Pd. Per quanto siano battaglie giuste, non è quello che interessa agli elettori, soprattutto agli indecisi. Silvio, dalla posizione di front runner, non dovrebbe nemmeno sparare così forte su Veltroni o di Pietro, ma lasciarli bollire nel loro brodo, altrimenti rischia solamente di far risuonare più forte il loro nome. Per convincere chi non sa ancora cosa votare ci vogliono ancora fatti, programmi, anche promesse. Dalle parti del PdL devono capire che dovendo stare per una legge idiota in circa due minuti al giorno di telegiornale, in quei secondi devono mettere il meglio delle loro proposte, non esporre il peggio degli avversari che già si vede, oppure lamentarsi per dire che un settantenne dev' essere pazzo per ricandidarsi, o piangere perchè si hanno solo due minuti, o continuare a dire che governare sarà difficile, o tutte quelle cose che non interessano a chi poi dovrà votarti. Spero che anche questa volta quello che ho scritto aiuti.



E vi imploro, cancellate quell' orribile inno stile Hugo Chavez: "Presidente siamo con te, meno male che Silvio c' è..."!
http://www.votaberlusconi.it/notizie/arc_12919.htm

fossi un indeciso dopo averlo visto saprei già per chi non votare.


AGGIORNAMENTO: Ieri sera ho visto Silvio alla conferenza stampa di Rai2 ed è stato molto competente ed energico, come piace a noi. Bene.

sabato, febbraio 16, 2008

Rialzati, Silvio

Fuoco alle polveri, è cominciata la campagna elettorale. Da una parte Veltroni, dall' altra Silvio, come coprotagonisti quel che resta dei veri comunisti, i piccoli del centro e qualche altro granello di polvere in giro per gli schieramenti. Prima annotazione: invece che ventimila partiti come due anni fa, ora ne abbiamo tre che possano contare, forse quattro se mettiamo insieme Casini, Mastella ed amici. Non si può non notare il miglioramento. Seconda annotazione: per la prima volta da quando esiste la Repubblica, anche se vincesse la sinistra non rischieremmo di avere dei comunisti al governo: nel PD c' è ancora un pezzo di quadro dirigente provieniente dal PCI, ma forse possiamo smetterla con tranquillità di chiamarli comunisti. Anche questo è un miglioramento.
E' tuttavia una gara che comincia in salita per il Partito Democratico, che deve recuperare in immagine e far dimenticare agli elettori di essere stato il primo sostenitore del devastante governo Prodi; Veltroni ha davanti a sè una campagna elettorale all' attacco, dovrà recuperare molti punti di distanza da Berlusconi, ma l' inizio non è stato sbagliato. La sua strategia introduce
praticità e cambiamento, i due cardini della campagna che porterà avanti. Da una parte il dimenticarsi della sua ideologia di provenienza, eliminando ad esempio l' avversione classica verso gli imprenditori, invocando i tagli delle tasse ( e Visco di che partito è?), mettendo l' accento sulla sicurezza; tutti temi non propriamente di sinistra. Dall' altra parte, ha fatto sua la parola d' ordine di Obama Change, cambiamento: si presenta così come il nuovo, colui che prenderà l' Italia così messa male e la farà diventare un paese serio. Una campagna che ha cominciato bene proprio per l' accento sulle questioni pratiche, per l' aver messo in campo subito le proposte, pulite per sua convenienza da ogni ideologia.
Nel campo avverso non c' è stato un inizio ugualmente scintillante. Il Berlusconi che abbiamo visto a Porta a Porta è stato francamente troppo buono, troppo istituzionale, troppo vago. Avere molti punti di vantaggio non è una scusa per farseli mangiare. Alla praticità e spinta di Veltroni, Silvio ma anche Fini dovrebbero rispondere con uguale quantità di progetti, proposte, con più cattiveria, ci vuole il Silvio che abbiamo conosciuto a Vicenza nel 2006, quello che con rabbia ha messo le cose in chiaro e ha fatto morire di paura Prodi e la sua disomogenea compagnia la notte del 9 Aprile. Non c' è bisogno di sentire ancora da parte di Berlusconi, al rispondere ad ogni domanda sul futuro governo, che il lavoro è difficile perchè Prodi ha fatto molti danni. Ci vuole positività, quella che lo ha portato con un sogno a vincere nel 2001. Quindi subito fuori il programma, esporre costantemente le proposte, dimostrare che le nostre idee funzionerebbero di più, dare una visione dell' Italia che sia forte almeno quanto il Change di Veltroni, ricordare agli elettori chi sono i nostri avversari ma soprattutto fare tutto questo con la forza necessaria, perchè questa sarà una campagna che premierà il più innovativo ed il più affidabile.

mercoledì, febbraio 13, 2008

Bravo Spielberg

Spero che questa notizia si faccia sentire, perchè in nome dei soldi ultimamente stiamo troppo spesso dimenticando quel che succede in Cina, e quello che la Cina fa succedere all' estero. Se per le Olimpiadi 2008 avevano ingaggiato Steven Spielberg come direttore artistico, oggi dovranno cercarsene un altro (forse qui in Italia ne troverebbero qualcuno): il regista americano si è infatti dimesso in seguito all' immutata responsabilita dei cinesi sul massacro (genocidio?) in Darfur.
Cosa c' entra la Cina con l' Africa? Tutto. Il Darfur si trova infatti in Sudan e le milizie che trucidano le popolazioni civili sono appoggiate, non ufficialmente, dal governo centrale, diventato partner fedelissimo dei cinesi che comprano dal Sudan gran parte della sua produzione di risorse naturali. Come conseguenza la Cina protegge il Sudan all' Onu quando qualcuno cerca di far passare una risoluzione per mettere fine al massacro, rendendosene così responsabile. Non possiamo poi dimenticare ciò che sta succedendo agli oppositori al regime in Cina, che prima delle Olimpiadi sta ripulendo il campo per non avere contestazioni nel suo momento di grandezza (restrizioni che cercano di applicare anche agli atleti occidentali che verranno per i Giochi).
Spielberg ha dichiarato che non può andare avanti ad aiutare un paese che fa cose del genere, quindi dovranno fare senza di lui per apparire grandi e buoni. Bravo.

sabato, febbraio 09, 2008

You Decide 2008

Per chi abbia almeno un tantino a cuore la democrazia, assistere alla corsa verso la presidenza in America può essere un' occasione di svago e soprattutto di gioia. Vedere candidati che corrono da una parte all' altra della nazione, candidati piangenti, candidati ricchi, candidati in bolletta, che si scannano, si vogliono bene, si addormentano, candidati vecchi, neri, donne, candidati stanchi, candidati distrutti, tutto questo per conquistare il cuore degli elettori può colpire ed a volte emozionare, soprattutto in contrasto con altri spettacoli, ben più vicini, che altri politici ci regalano. In fondo a questa strada difficilissima, si stagliano quelle due parole al cuore della democrazia: You Decide. Alla fine, è tutto fatto per voi elettori, o affinchè voi elettori ci votiate.
Interessantissime sono i protagonisti di questo gioco, mai così insoliti come quest' anno. Vediamo da una parte i democratici, forti di potersi avvalere dello scontento (giustificato o no che sia) causato da otto anni di difficile governo repubblicano, che mettono in campo due candidati mai visti, come un nero ed una donna, a scannarsi ed a rischiare di stracciare in due il partito, tanto sono pari nella gara. Dall' altra, una storica lotta fra l' ala conservatrice, religiosa dei repubblicani ed un centrodestra più liberale e razionale, mai così divisi da quando Reagan era riuscito a fondere le due parti sotto la sua guida: a dover rimetterli nello stesso letto un uomo singolare come John McCain, del quale senza dubbio non mi dimenticherò di parlare.
In una situazione così incerta muovono le loro truppe quattro generali sopravvissuti, più alcuni caduti sul campo. Cominciamo con i dems.

Barack Obama: Non si può negare che è bravo. Bravo nel prendersi il monopolio della parola Change, a sviluppare la sua immagine di uomo solare, idealista, forte, proveniente dal popolo e non dal partito. Ha un alone di magia attorno, creato ad arte, che lo collega al primo Kennedy. I suoi discorsi sono appassionati, energici, di alto livello, "Yes we can" we can cambiare l' America.
Quando poi si arriva ai contenuti non differisce di molto da Hillary, anzi non si vede cosa ci sia di nuovo o rivoluzionario. Sconta inoltre una certa inesperienza al comando, comunque ancora tutta da provare. E' lui la garanzia, in una campagna che pensa più all' uomo che al suo programma, per molti di un serio cambiamento degli Stati Uniti. Verso cosa, non voglio immaginarlo; che sia somigliare di più all' Europa, come vorrebbero molti democratici? Da europeo non lo consiglio proprio. Per sperare di arrivare alla Casa Bianca ha solo se stesso, qualche decina di antipatiche celebrità che lo seguono perchè va di moda ed il suo popolo giovane ed idealista, ma non è poco. Per nulla.

Hillary Clinton: Una mamma presidente, potrebbe diventare. Ha un atteggiamento energico, tipico delle madri di famiglia americane, unito ad un' impressione di essere una persona competente e preparata. Gli otto anni non tranquilli già passati alla Casa Bianca le danno un vantaggio sugli avversari, inoltre sembra più pronta al ruolo oneroso di Commander in Chief del suo rivale. Rinchiude tutto questo, però, in una figura che a volte può sfociare nell' insipido e nel freddo; sembra che abbia problemi ad esprimere le emozioni, da questo punto di vista è l' opposto del nostro Barack. Inoltre è appoggiata dalla macchina del partito, fattore che non per forza può giocare a suo favore in un periodo in cui anche in America l' antipolitica si fa sentire. Sono rimasto deluso per l' utilizzo esagerato delle lacrime, che forse (forse) l' avranno aiutata in New Hampshire, ma non penso che gli americani apprezzino il fatto che un giorno potrebbe frignare davanti ad Ahmadinejad per chiedergli di fermare quel programma nucleare.

Mitt Romney: Figura strana. Un miliardario di una dinastia di politici che si paga la campagna da solo, ma forse per questo se la prende troppo comoda. In mancanza di forti candidati conservatori l' ala destra del partito appoggia lui ed Huckabee, pur fra dubbi religiosi per il suo essere mormone, ma Romney ha una parlata ed un modo di fare troppo convenzionale, non appare sempre disinvolto e manca di tratti caratteristici. Questo è quello che si vede, almeno. I conservatori, o la parte più fondamentalista di loro, sbagliano i calcoli e puntano su un candidato senza qualità che avrebbe potuto vincere le primarie grazie all' appoggio del partito, ma che in seguito avrebbe reso la vita facilissima a Barack o Hillary verso Washington. Si riabilita nel finale, dopo essere stato stritolato da Mccain al centro e Huckabee a destra, quando capisce che per non spezzettare il partito è meglio ritirarsi ed aspettare. Dimostra che in America non bastano soldi illimitati per vincere le elezioni. Avrà tempo di crescere.

Mike Huckabee: Pastore battista, è riuscito a superere Romney a destra grazie ad una personalità simpatica, un' immagine di uomo comunque umile e tranquillo che sa suonare la chitarra. Ha avuto il suo momento di luce prendendosi la prima vittoria in Iowa, poi per mancanza di contenuti ha cominciato a scendere. Ora è rimasto l' unica alternativa a McCain per i Repubblicani, ma sembra che ormai abbia poche possibilità di farcela al posto del veterano di guerra. Viene evidenziato per il suo umorismo e per la tranquillità che ha portato nelle primarie. Poi è sostenuto da Chuck Norris, chi potrebbe opporsi?

Rudy Giuliani: Che delusione. Penso che in molti avrebbero voluto vedere un italoamericano come Presidente e per molto tempo ci abbiamo creduto, ma qualcosa non ha funzionato. Consapevole del suo status di repubblicano molto liberal, non ha nemmeno provato a fare campagna nelle prime primarie (Iowa, New Hampshire, Michigan, South Carolina) tenutesi in stati che di liberal hanno poco, ha pensato di sfondare in Florida per partire da lì verso Super Tuesday. Ma non ha considerato l' effetto che queste votazioni, seppur piccole, hanno su quelle seguenti e così arrivati nello stato su cui puntava tutto si è trovato senza soldi e terzo, dopo Mccain e Romney. Ha capito allora che la gara era chiusa e tanto valeva far vincere l' amico McCain, con il quale condivideva molto elettorato. Ha le capacità di un leader derivate dall' aver governato e rimesso in ordine la città più complicata del mondo ma forse mancava in simpatia o in qualche aspetto del carattere. Quando ha annunciato l' appoggio a McCain ha detto di aver sempre creduto necessario la presenza di un "eroe" alla Casa Bianca, inserendosi così in questa categoria.

John McCain: L' ho tenuto per ultimo perchè, se finora sono riuscito a tenere un po' di imparzialità, ora la perderò tutta. Da quando ho letto la vita di quest' uomo ho pensato che fosse il presidente ideale. Viene da una famiglia di militari, è stato pilota in Vietnam, dove abbattuto, venne catturato dai comunisti. Tenuto in prigionia per cinque anni, avrebbe potuto andarsene prima, ma scelse di rimanere con i compagni prigionieri. Tornato a casa è rimasto in Marina per alcuni anni poi è passato alla politica. Ancora oggi per le torture subite ha problemi a muovere le braccia ma la sua mente è lucida e decisa e, dopo quello che ha passato, non ha problemi di coraggio. Viene considerato una testa calda dal partito, troppo disposto a fare accordi con i democratici, azzardi politici (unico ad appoggiare Bush nel suo surge in Iraq di un anno fa, ora sta incassando i dividendi del suo successo). Lo ripete sempre: non diventerò presidente per fare le cose che sanno fare tutti, ma quelle difficili. Alla sua età, presa come punto debole dagli avversari che si sbagliavano, non ha problemi a fare cose impopolari e non si preoccupa di seguire i sondaggi. Il suo punto di forza? Provate a guardarlo parlare, anche se non capite l' inglese. Ha la calma, forza e saggezza del guerriero invecchiato, si esprime con una sincerità e tranquillità disarmanti. Fa suo lo straight talk, parlare chiaro; per far capire il personaggio, basta dire che arrivato in Michigan dai lavoratori licenziati dalla malata General Motors non gli ha promesso, come Romney, di ridargli (sapendo di non poterlo fare) il loro posto di lavoro, ha detto "ragazzi, lavoreremo affinchè se ne trovino altri". Romney ha vinto in Michigan, ma a McCain dev' essere servito, perchè ha vinto in tutti gli altri stati. E' esperto in politica estera, deciso a tenere gli Stati Uniti sull' offensiva contro i nemici, ma nessuno come un soldato sa quanto sia dura una guerra. Non diverso dagli altri repubblicani sull' economia, sostiene responsabilmente che oltre ad abbassare le tasse bisognerebbe anche pensare a diminuire la spesa. Ormai avviato alla candidatura per i repubblicani, deve ora saldare il partito fra la sua ala, che va da una grossa presa sugli indecisi ai liberal fino ad alcuni neocon, ed i conservatori religiosi che sembrano non sopportarlo. Ma per uno che ha passato quel che ha passato lui, questo dev' essere solo un' altra missione da eroi.

lunedì, gennaio 28, 2008

La solita sceneggiata di Hamas e i media ci cascano

Potrei sbagliarmi, ma non penso. Penso soprattutto che quando avevo scritto più di un anno fa Il tremendo potere dei media avevo fin troppa ragione. Dopo casi come Iraq, Libano e vari altri i media si confermano più disponibili ad ascoltare gli amici di Hamas che le autorità israeliane. Perchè? I telegiornali ci hanno bombardato di immagini di palestinesi al buio, dal momento che Olmert aveva tagliato le forniture di carburante, anche quello per le centrali energetiche. A quanto dice questo articolo di Bob Owens, che si riferisce a dichiarazioni dello Stato democratico israeliano, del quale scusatemi io continuo a fidarmi di più dell' Organizzazione Terroristica Estremista Islamica Hamas, Olmert non messo al buio gli abitanti di Gaza. Il 70% dell' energia elettrica nella zona non è autoprodotta attraverso carburante, ma importata direttamente dalle società di produzione israeliane. Società che non hanno mai smesso di fornire detta energia. Da ciò capiamo che solo il 30% dell' elettricità veniva a mancare, quantità prodotta internamente a Gaza bruciando carburante, che però mai le autorità di Hamas avrebbero potuto finire in una manciata di ore. Invece le tv ci hanno fatto vedere queste manifestazioni senza dubbio spontanee di gente con le candele in mano per protestare contro Israele che li aveva messi al buio, mentre tutto questo era stato probabilmente già preparato da Hamas. E i tg ci cascano, forse perchè per molti a prendersela con Israele alla fine non si sbaglia mai. Così nel mondo cresce l' odio verso lo Stato ebraico, e molti giornalisti continuano a lavorare a dir poco irresponsabilmente.

venerdì, novembre 02, 2007

Oggi i rumeni sono tutti cattivi. E fra una settimana?

"Gli italiani preferivano, nelle cose riguardanti la collettività, gli slanci emotivi agli sforzi tenaci."

Questo diceva Montanelli sugli italiani del dopoguerra, e sembra che nulla sia cambiato, perchè questo mi viene in mente quando vedo i telegiornali in questi giorni. Soprattutto la parte degli slanci emotivi. Da fonti che fino a pochi giorni fa avrebbero sempre applicato la regola di "non fare di tutt' erba un fascio", "gli immigrati criminali sono comunque una piccolissima minoranza", "bisogna considerare il contesto socio - culturale dal quale provengono" e così via, oggi sento con sgomento "ma se in Romania il tasso di criminalità è bassissimo, perchè vengono tutti a delinquere in Italia?", "nelle baraccopoli dei rom si rifugiano i più accaniti criminali", dichiarazioni di rabbia e paura, cose anche poco ragionevoli che fanno pensare anche me che di sicuro non sono un sostenitore dell' apertura verso l' immigrazione o della tolleranza verso chi commette reati. Quello di questi giorni è un classico slancio emotivo italiano. Dettato da anni di paura e rabbia che ognuno di noi cova verso un problema che è tale da molto tempo, non che abbiamo scoperto oggi. Oggi applicheremo giustamente decreti legge e misure d' emergenza, fra una settimana però ce ne saremo lentamente dimenticati, mancando di quello sforzo tenace atto a risolvere i problemi. La criminalità dovuta all' immigrazione esiste da quando esiste l' immigrazione, non da tre giorni. Questo lo sanno tutti, ma per molti dirlo sarebbe stato razzismo, mentre si trattava sempliemente di statistica. Nessun governo di sinistra ha mai fatto nulla per remore ideologiche, e il governo di destra ha fatto qualcosa ma non abbastanza per paura di apparire troppo duro, o per aver sottovalutato il problema. E forse non basta un pacchetto sicurezza, ci vogliono più carceri, leggi migliori, giudici migliori, forze dell' ordine messe meglio, politici più attenti. Uno sforzo tenace che potrebbe durare anni, appunto, ma l' unico capace di fornire soluzioni dalle fondamenta stabili. Adesso qualsiasi misura ci sembrerà ragionevole per fronteggiare la criminalità. Ma fra una settimana, lo slancio sarà finito?

giovedì, settembre 27, 2007

I media iraniani elogiano Ahmadinejad per il discorso alla Columbia

A quanto pare non mi sbagliavo sull' aumento di popolarità che il discorso all' università americana avrebbe portato al nostro Mahmoud. I media persiani hanno presentato il tutto come un successo del presidente, evitando i punti in cui questo faceva la figura del cretino, ed essendo essi l' unica fonte che il suo popolo ha molti crederanno che il loro dittatore sia andato nella più grande democrazia del mondo per essere applaudito. Penso che solo questo motivo bastasse a non invitarlo. Per dare un' idea di come possano ignorare la realtà, traduco un' agenzia iraniana da New York (presa dal mitico CounterTerrorismBlog):

Malgrado larga opposizione dei media statunitensi, propaganda negativa e sdegno per il discorso del presidente della Repubblica Islamica Iraniana Mahmoud Ahmadinejad alla Columbia University, egli ha espresso le proprie opinioni e risposto alle domande degli studenti qui Lunedì mattina.

Nel secondo giorno dopo il suo arrivo a New York, e nel mezzo di un' accoglienza in piedi del pubblico presente nella sala dove il presidente doveva fare il suo discorso nelle prime ore del giorno, Ahmadinejad ha detto che l' Iran non attaccherà alcun paese nel mondo.

Prima del discorso di Ahmadinejad, il preside della Columbia University in un breve discorso ha comunicato al pubblico che avrebbero ascoltato le posizioni dell' Iran, che il presidente avrebbe esposto.

Ha detto che l' Iran è un paese amante della pace, odia la guerra, e tutti i tipi di aggressione.

Riferendosi ai progressi tecnologici della nazione iraniana negli ultimi anni, il presidente li ha considerati un segno del deciso volere degli iraniani di raggiungere uno sviluppo sostenibile e un avanzamento rapido.

Il pubblico in occasioni ripetute ha applaudito Ahmadinejad quando ha toccato gli argomenti delle crisi internazionali.

Alla fine del suo discorso il presidente Ahmadinejad ha risposto alle domande degli studenti su argomenti come Israele, Palestina, il programma nucleare iraniano, lo stato delle donne in Iran e una serie di altre questioni

Naturalmente niente delle contestazioni, i fischi, le figure da imbecille che ha fatto. Non avevamo bisogno di un altro discorso di Ahmadinejad per capire che è un cretino. Ma lui aveva bisogno di questo invito.

martedì, settembre 25, 2007

Mahmoud, il maestro di dissimulazione

La questione è, si può invitare Mahmoud Ahmadinejad in un' università a parlare? Si può, certo, ma non penso sia giusto da parte degli organizzatori. E non perchè questo signorino barbuto, con atteggiamento umile, vestiario povero e piglio gentile abbia e supporti idee orribili. Fossi stato il rettore dell' Università o chi per lui non avrei mai potuto chiamare il presidente iraniano per un semplice motivo, perchè al momento è un nemico degli Stati Uniti. Lo è attivamente: soldati americani muoiono in Iraq uccisi per suo volere, sia quando sparano quelli di al Qaeda, sia i terroristi sciiti, perchè entrambi sono supportati e sospinti dal suo Iran. Mi sembrerebbe quindi irrispettoso ed eticamente sbagliato chiamare a parlare un uomo che ha ucciso e continua ad uccidere i figli del mio paese a parlare nella mia facoltà.
Anche questo però, a suo modo, è stato però una prova di forza americana. Pensavo, all' inizio, che l' invito fosse una trovata dei liberal, che ormai tanto allegramente assomigliano alla nostra sinistra, ed effettivamente mi sono accorto soffrendo che qualche cretino applaudiva il cretino che parlava; dopo aver visto il dibattito e aver sentito l' accoglienza del preside Lee Bollinger ho capito che questa invece voleva essere una fiera attestazione di superiorità della democrazia e della libertà americana verso quello che dal preside stesso è stato definito un dittatore, con tutto il disprezzo del termine. Dopo aver visto il discorso, malgrado rimanga la mia disapprovazione per le ragioni sopra esposte, l' idea dell' invito mi sembra molto più accettabile.
Non poteva sperare, e probabilmente non sperava, il presidente di Teheran di fare una buona figura davanti alla platea della Columbia University. Ha negato l' Olocausto, ha negato l' esistenza di omosessuali iraniani, ha negato di sostenere il terrorismo, ha negato di volere la bomba atomica. Tutte cose su cui tutti sanno la verità. Ha usato l' arte della dissimulazione, sancita dalla sua religione, dicendo balle su balle. Devo ammettere, inoltre, che come leader ha un certo fascino. Ma la sua immagine qui non poteva scendere di più di quanto non fosse in partenza, e lui lo sa; invece a casa sua e non solo sarà presentato come il coraggioso che è andato a parlare in casa del nemico e che ha difeso il suo paese. Per questo ci è andato, per questo ci ha guadagnato. Questo è un fattore al quale chi ha formulato l' invito doveva pensare.

martedì, settembre 18, 2007

Ma si, dialoghiamo con l' Iran!

A quanto pare la Francia, unica in Europa, ha aperto gli occhi. Il ministro degli esteri Kouchner non ha avuto scrupoli a descrivere quello che succederà se le cose continuano così in Iran: guerra.
Al momento l' Iran ha l' ambizione di diventare la potenza regionale del Medio Oriente. E così utilizza i suoi Hezbollah per prendere controllo del Libano, i suoi terroristi in Iraq per conquistarlo, finanzia Hamas per dar fastidio a Israele, appoggia attivamente i talebani per espandere la sua influenza in Afghanistan. E già a questo punto sta facendo molti danni. Immaginiamoci quando avrà la bomba atomica e potrà minacciare i suoi vicini, che a parte Israele ne sono sprovvisti. Quando sarà impossibile mettere fine alla sua attività fiera e comprovata di stato sponsor del terrorismo e alle sofferenze del suo popolo schiavo degli ayatollah perchè si potrebbe far partire una guerra nucleare. Quando diventerà, stato integralista islamico, la potenza del Medio Oriente e detterà legge in una nuova ondata di fanatismo, includendo anche il controllo dei prezzi del petrolio. Quando gli stati confinanti, a cominciare dall' Arabia Saudita, cercheranno a loro volta di ottenere la bomba atomica per difendersi. Questo e molto peggio è lo scenario che si defila. C' è qualcuno che vuole evitarlo? Si, i soliti. In America persino i candidati democratici prospettano l' idea di fermare l' Iran con tutti i mezzi. E hanno ragione, perchè va fermato con tutti i mezzi. Non si può arrivare ad un Iran nucleare. Non l' ha capito come al solito la vecchia, rimbambita e fifona Europa. A parte la Francia, tutti hanno reagito come se si pensasse di far del male a un bambino. Indignati, non si comincia una guerra. Acoltate le proposte costruttive di D' Alema, utili grossomodo come quelle di Grillo. Non vogliono capire che se non si fa qualcosa con l' Iran si avrà anche di peggio di una guerra. Se l' Europa, compatta, facesse capire insieme all' America e a tutti quelli che ci stanno agli ayatollah che se arrivassero ad un passo dalla bomba atomica saremmo costretti a fermarli, probabilmente non ci sarà bisogno di una guerra. A volte basta la minaccia.
Ma se i persiani si trovano davanti un' America indebolita (ma determinata) e un' Europa spezzata e stupidamente timida si sentiranno incentivati a continuare nel loro glorioso cammino verso l' arma finale e a quel punto gli americani o gli israeliani dovranno agire. Meno male ci sarà l' Europa, a dire che ci vuole il dialogo!

martedì, settembre 11, 2007

11 Settembre, di nuovo

E' un anno che ho aperto questo blog, ma ancora più fondamentale è il fatto che oggi è il sesto anniversario degli attentati in America. Vorrei fare il punto della situazione sulla War on Terror, ma esami su esami mi impediscono di avere il tempo necessario. Mi limito a dire: ricordiamoci, gente, ricordiamoci. Sei anni fa abbiamo detto che siamo tutti americani. Io lo sono ancora.

Oh, say! can you see by the dawn's early light
What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming;
Whose broad stripes and bright stars, through the perilous fight,
O'er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rocket's red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there:
Oh, say! does that star-spangled banner yet wave
O'er the land of the free and the home of the brave?

lunedì, settembre 10, 2007

Iraq, il giorno della verità

Ci siamo. Dopo otto mesi di surge oggi il generale David Petraeus, comandante delle forze della Coalizione in Iraq, testimonierà davanti al Congresso sull' operato suo, di 170mila soldati americani, 250mila iracheni e un 'intero popolo che cerca di sfuggire alla violenza e all' oppressione.

Quello che dirà avrà conseguenze enormi. Petraeus è considerato il più brillante dei generali; flessibile, svelto, il suo motto è " Forza fisica e mentale sono essenziali per la leadership. E' difficile comandare il fronte se sei nel retro della formazione". Ed è vero, tanto che ha dimostrato spesso una gran faccia tosta a presentarsi per le strade irachene, in mezzo ad un' accoglienza generalmente calda della gente, in situazioni pericolose nelle quali tutta questa leadership poteva essere terminata da un kamikaze o da un buon cecchino. Un uomo di comando bravo nella fase di combattimento quanto in quella che viene dopo, fattore fondamentale in Iraq. Un generale americano di vecchi valori ma di nuove abilità.
E in due giorni questo pezzo d' uomo girerà per il parlamento statunitense, dicendo cosa si è riusciti a fare laggiù, se ci sono stati progressi, quali sono i problemi, cosa ne pensa chi è più vicino al fronte insomma. E quel che dirà interesserà l' opinione pubblica e di conseguenza i politici americani, perchè se il buon generale e l' ambasciatore Crocker che lo accompagnerà saranno ottimisti allora molti parlamentari e soprattutto candidati alle presidenziali dovranno agire di conseguenza. I Repubblicani, a quanto si è sentito dal debate del New Hampshire di ieri, hanno già investito sul funzionamento del surge. I democratici sono incerti e dovranno trovare un modo di cavalcare il cambio di cose in Iraq. In generale l' opinione degli interrogati influirà sul futuro della guerra, sul ritiro o no delle truppe, sull' andamento della guerra globale al terrorismo in modo enorme.

Ma vediamo cosa potrebbe dire Petraeus. Arrivò al comando supremo in Iraq in Gennaio, in un paese che però conosceva già bene, trovando una situazione di poca confidenza nella vittoria. Grandi parti del paese erano in mano alle milizie sunite o sciite, la violenza era dilagante, le forze della Coalizione sulla difensiva. Bush cercò di metterlo nella situazione di lavorare al meglio, inaugurando una nuova strategia, un aumento molto faticoso di truppe, misure non solo militari ma anche economiche e politiche. Il Generale, grande organizzatore, si mise subito al lavoro. La sua strategia era nella teoria semplice e si basavo sul controllo del territorio:
1) Ripulisci una zona da terroristi, milizie o comunque malintenzionati con uso di forze sia americane che irachene
2) Stabilisci basi in quelle zone per evitare che una volta mandati via i cattivi non ritornino
3) Coinvolgi la popolazione locale, con il presupposto che la tua presenza sia un vantaggio anche per loro, e stabilisci ottimi rapporti
Tutto è partito a Baghdad, dove la strategia è stata applicata la prima volta per ripulire molti bellicosi quartieri. Nella capitale ha funzionato, anche se non al 100%, e ha ridotto di molto la violenza. E' venuta poi la volta dei territori vicini e come un cerchio che si allarga le forze americane e irachene hanno cominciato a grattar via i terroristi da zone sempre più ampie, spesso ottenendo il favore della popolazione che non ne poteva più, soprattutto degli stranieri di Al Qaeda. Molti gruppi che due anni fa attaccavano gli americani oggi combattono i terroristi al loro fianco, in primo luogo nelle zone sunnite di Al Anbar e Diyala.
Questa strategia ha permesso di aumentare la sicurezza, gli attentati sono calati di molto, in un processo che alla fine coinvolgerà, si spera, tutto il Paese. Al Qaeda è costantemente attaccata e adesso riesce ad agire solo nelle zone esterne, a nord della provincia di Diyala appena ripulita. L' esercito del Mahdi, la formazione sciita di Moqtada al Sadr, è spezzata grazie al paziente lavoro della diplomazia e delle armi. Una parte di essa, chiamata "nobile", si è avvicinata al governo. Un' altra si è sciolta in piccoli gruppi militari. Un' altra ancora si è legata all' Iran e agisce su sua commissione come in libano Hezbollah, ed è quella che viene colpita dalla Coalizione al momento. Al Sadr dal canto suo non sembra sapere cosa fare. Certo, tutta questa gente può ancora mordere e lo fa, ma di sicuro è meno letale.
Il punto più preoccupante è quello politico: malgrado i successi militari, la classe dirigente irachena non ha ancora trovato un accordo su punti fondamentali come la Costituzione, la legge sul petrolio e altre. Inoltre il governo di al Maliki sembra troppo debole e anche vicino all' Iran. Si spera che con le dovute pressioni le cose si muovano.

E ora vado. Dicono che alle sei oggi ci sarà una delle più grandi battaglie del buon Petraeus.

giovedì, settembre 06, 2007

Sicurezza, neanche l' ombra

Solito copione: una dimostrazione di buone intenzioni da parte dell' ala meno irragionevole del Governo, una proposta di legge in teoria intelligente, una parte della Maggioranza che non ci sta, l' Opposizione dal canto suo non sa bene come reagire, il Governo ha paura di cadere quindi prosegue incertamente, i riformisti si rompono i maroni ma non fanno molto casino perchè ancora non è tempo di cadere, la sinistra radicale la spunta ma rimane irritata perchè sulla questione non l' avevano consultata, ma non è il caso di fare molto casino se no si perdono le poltrone. Il disegno di legge per far fronte ad una emergenza enorme non passa, tutti finiscono come prima, anche peggio.

Quello che succede nel Governo da un anno e qualcosa a questa parte. Ormai ci abbiamo fatto l' abitudine. Quello che rompe è che in questo caso l' argomento sia importantissimo, la sicurezza. Perchè piano piano questa sprofonda in Italia. A causa dell' Indulto, a causa delle scarcerazioni facili e dei giudici incapaci, a causa della disorganizzazione, a causa delle leggi che non vengono applicate, a causa della mancanza di carceri, potremmo andare avanti per ore. Onestamente è odioso vedere come una parte della sinistra senta il grido di dolore dei poveri italiani che ogni giorno devono affrontare la paura del crimine e se ne freghi. Per non contravvenire alla loro ideologia, devono considerarlo come una questione sociale. Colpa del sistema, non dell' individuo che sceglie di fare quello che fa. Così è enorme l' indulgenza contro ogni tipo di crimine, soprattutto quelli che vengono stupidamente e burocraticamente chiamati "microcriminalità" che di micro non hanno proprio niente, soprattutto se a compierli, come in gran parte dei casi, sono gli immigrati che loro hanno fatto entrare perchè non si chiudono le porte a nessuno, neanche se entra in casa tua per fare casino. La gente si è rotta le scatole, non ne può più. Quanto passerà prima che faranno di tutt' erba un fascio e, a proposito di fascio, si affideranno al primo che prometta sicurezza senza fronzoli, di fronte all' incapacità di chi dovrebbe pensarci? Amato ha preso il punto alla grande: "Se fossimo così incoscienti da pensare che la sicurezza non è un nostro problema, creeremmo le condizioni per una svolta reazionaria e fascista nel nostro Paese". Uno dei fattori che consentì al fascismo di salire al potere fu l' impossibilità della classe politica post prima guerra mondiale di agire, soprattutto contro la lotta armata politica che straziava l' Italia in quegli anni. La gente non ne poteva più di contadini che si ribellavano, bande rivoluzionarie, squadre di picchiatori, battaglie nelle campagne e nelle città. Arrivò Mussolini (che era uno di quelli che aveva portato a quella situazione), e promise di sistemare tutto, casomai con metodi non democratici, ma non è che alla gente fregasse molto. Andò al potere, gli diede più sicurezza, ci tolse la libertà.
Oggi la situazione è preoccupantemente analoga. Se la sinistra non riesce per colpa di una sua ala a rimediare al problema e la destra, di cui la sicurezza è sempre stata una bandiera, non porta soluzioni attendibili e non dimostra di saperle applicare, prima o poi uscirà qualcuno che promette di mettere a posto le cose, ma a quale prezzo?

domenica, luglio 08, 2007

Due visioni

Solo due parole: sembra che oggi la grande divisione dell' Occidente sia fra chi pensa che il più grande pericolo per il mondo al momento sia l' estremismo islamico e chi teme di più il riscaldamento globale.

mercoledì, luglio 04, 2007

Thank you, America

Questo è un breve post per per augurare ai nostri amici americani un felice Independence Day e per ringraziarli per quello che fanno da un secolo ormai: essere paladini e difensori del mondo libero. Ci sono state e ci sono molte grandi nazioni in questo mondo, ma non ricordo che altre abbiano fatto quello che hanno fatto gli Stati Uniti d' America, ovvero salvarci le chiappe quattro volte: intervenendo durante la prima guerra mondiale in uno dei momenti peggiori per l' Intesa, liberando l' Europa dal nazifascismo, proteggendoci dalla minaccia sovietica per quarantacinque anni mentre molti di noi si divertivano a fare i comunisti, e ultimamente essendo l' unica ad agire contro il grande attacco dell' integralismo islamico. Che riserva di gratitudine dovremmo avere per l' America noi europei solo per questo, e per questo perdonarle gli errori che a volte fa, sapendo che tali errori li abbiamo commessi e li commettiamo anche noi? Invece no, siamo sempre più acidi verso i nostri cugini (o fratelli), senza accorgerci che siamo noi che stiamo crollando a causa nostra, non per colpa di chi ci difende.
Grazie America, meno male che ci sei tu, in attesa di un giorno in cui riusciremo di nuovo a badare a noi stessi!

martedì, giugno 26, 2007

Unifil, solo un bersaglio

Già dall' inizio l' idea di inviare le forze Onu in Libano poteva essere carica di dubbi: le condizioni in cui si sarebbe trovata, la sua distribuzione sul territorio, soprattutto la suà utilità e il suo fine. Che portasse la pace, sembrava strano. Al massimo poteva portare quella stasi che piace tanto alla sinistra, ovvero la situazione in cui i seguenti soggetti:
a)Stati Uniti d' America b)Israele c)occasionali alleati dei primi due
non aprono il fuoco. Ma la pace vera no, perchè dal momento che la guerra di Hezbollah contro Israele può terminare solo con la sconfitta del primo o la distruzione del secondo, questo corpo di pace, non volendo disarmare Hezbollah, non avrebbe influito. Oppure l' avrebbe fatto negativamente. Non è un caso infatti che i guerriglieri finanziati dall' Iran fossero felicissimi dell' arrivo dell' Unifil: così avrebbero potuto fare quel cavolo che gli pareva senza che quei rompiscatole di Israele intervenissero, come ad esempio prendere soldi da Ahmadinejad, riarmarsi, cercare di prendere il potere dalle mani del primo ministro Siniora. Così le truppe dell' Onu, fatte da bravi soldati che non sapevano (non lo sa nessuno) che cosa andassero a fare a parte l' importante ma non fondamentale lavoro umanitario, si sono trovate nella bizzarra situazione di difendere HEZBOLLAH DA ISRAELE. Spesso i francesi e gli ebrei sono stati a un passo dal venire alle mani, quando gli israeliani cercavano di impedire che Hezbollah ricostruisse le fortificazioni al confine. Così quella pubblicizzata come la grande mossa dell' Europa unita e del governo Prodi è stata quella di mandare migliaia di truppe a difendere un' organizzazione terrorista da uno stato libero, attaccato e odiato da gran parte dei suoi vicini, che inoltre è anche l' unico stato libero della regione. Ma noi ci siamo andati lo stesso, ora ci troviamo lì e la situazione peggiora. Al Qaeda ha attaccato gli spagnoli, ai quali ritirarsi dall' Iraq a quanto pare non è servito a difendersi dai terroristi (ma va là?) e potrebbe farlo anche con noi o con i francesi. La forza Unifil sta diventando un bersaglio, utile a molte parti per scopi politici o militari. Ma ora che i soldati sono già giù, cosa si può fare? Non facciamo come i sinistroidi, che vogliono il ritiro delle truppe dai posti a loro politicamente scomodi. Mandare l' Unifil in Libano a quelle condizioni è stato un grosso errore, ma ritirarsi ora sarebbe una figuraccia enorme davanti all' intero Medio Oriente. Non si può continuare così, ad ogni modo: la forza Onu potrebbe entro quest' estate diventare strumento del gioco politico e bersaglio di Al Qaeda, che cerca di sfruttare l' instabilità del Libano, oppure ostaggio di Hezbollah, che dati i suoi numeri, l' armamento fresco ricevuto dall' Iran e la padronanza del territorio potrebbe mettere a serio rischio tutti i diecimila europei. Qualunque mossa si farà sarà dolorosa comunque: si potrebbe decidere disarmare Hezbollah, ma sarebbe veramente un processo sanguinoso, che richiederebbe più uomini e l' appoggio di Israele e del governo libanese, uno sforzo troppo pesante per la rimbambita Europa. Ci si potrebbe impegnare ad aiutare l' esercito libanese ad arginare al Qaeda e i suoi affiliati, che sono in crescita nella zona e potrebbero scaldare l' estate con i propri attentati, questo sarebbe meno difficile. Qualsiasi alternativa si scelga, non c' è una strada facile, ce le siamo tutte giocate andando in Libano senza una missione precisa.

sabato, giugno 23, 2007

La battaglia d' Iraq

Naturalmente passa in sordina, ma in questi giorni in Iraq si sta svolgendo l' operazione con il maggior coinvolgimento di truppe dall' invasione del 2003. Dopo aver migliorato la situazione a Baghdad, le forze della Coalizione si concentrano sulla pulizia delle "Belts", tutta la zona, di raggio di una centinaia di chilometri, che circonda la capitale. Qui dopo l' inizio dell' operazione "Stabilire l' ordine" a Febbraio si è rifugiato il nemico, lasciando buona parte delle sue basi a Baghdad. Chi è questo nemico? Da una parte Al Qaeda, che continua a colpire duro con i suoi attentati grazie alla sua natura agile e sfuggevole ma che, dopo aver perso la provincia occidentale di Al Anbar in seguito alla ribellione delle tribù sunnite che aveva cercato di sottomettere all' islamismo più cattivo, ha subito un grave colpo. Dall' altra parte ci sono le milizie sciite di Muqtad al Sadr, legato a doppio nodo con gli iraniani, che dopo essere tornato da Teheran dove era fuggito ha ritrovato il suo esercito del Mahdi, originalmente potente, spezzato in due fra chi gli è ancora fedele e chi pensa invece di collaborare con il governo iracheno; questa formazione resta comunque ancora preoccupante per via delle forte presa che ha soprattutto sulle zone meridionali del paese (noi italiani, che eravamo a Nassiriya, sappiamo qualcosa dei rapporti con l' esercito del Mahdi che spesso non ha esitato a spararci contro). Ci sono poi le organizzazioni clandestine iraniane che supportano al Sadr o spesso svolgono operazioni autonome e sono formate da agenti di Ahmadinejad, con l' esplicito compito di scatenare caos in Iraq. Questi sono i tre principali tipi di nemici che si possono incontrare oggi. Le formazioni sunnite non integraliste, ex baathiste, si sono in gran parte ribellate ad Al Qaeda e vengono inglobate nell' esercito e nella polizia locali. Esiste poi una galassia di forze antigovernative, religiose e laiche e via dicendo, ma sono in ruolo secondario nella situazione attuale.
Per eliminare le forze nemiche nelle belts scatta così quella che viene denominata la battaglia d' Iraq, che si divide in operazioni differenti: Arrowhead Ripper, quella meno ignorata dai media, agisce nella regione di Diyala a nord est di Baghdad, in particolare nella città di Baqubah che Al Qaeda aveva eletto a capitale del suo virtuale "Stato Islamico d' Iraq". Qui i terroristi hanno approntato solide postazioni difensive, dal momento che sapevano che prima o poi l' attacco sarebbe cominciato. Il comando alleato prevede di ripulire la città, dopo aver soppresso le solide postazioni difensive nemiche, appostando forze per bloccare le vie d' uscita, in modo da chiudere in trappola i terroristi. L' operazione potrebbe richiedere vari mesi e alla fine ci si aspetta che la regione di Diyala non offra più un valido rifugio ad Al Qaeda, costringendola a spostarsi più lontano dalla capitale e ad esporsi per farlo.
Marne Torch e Commando Eagle sono le operazioni che si svolgono a sud della capitale, nella zona di Arab Jabour e in quella di Mahmudiyah, nel "Triangolo della morte", mentre si ha un altro impiego di truppe a Al Anbar, per eliminare le ultime presenze di Al Qaeda nella zona, in una operazione il cui nome non è stato ancora rilasciato.
Inoltre a Baghdad e nel sud dell' Iraq continuano gli attacchi contro le milizie di Al Sadr per ridurre al minimo l' influenza iraniana nel paese.
Il fine di questi movimenti militari è liberare mano a mano l' Iraq dai suoi nemici partendo dalla capitale, il punto più caldo, muovendosi verso l' esterno. I nostri giornali, se mai ne parleranno, diranno che tutto ciò non ha avuto successo perchè i capi dei terroristi prima degli attacchi fuggono, sottraendosi alla Coalizione, ma non capiscono o non vogliono capire che il semplice fatto che se ne vadano è una vittoria in un paese dove le distanze valgono ancora molto, perchè la capacità di agire di Al Qaeda o le scorribande dell' esercito di Al Sadr saranno fortemente ridotte.
Spero che sia un ulteriore passo per la stabilizzazione di questo povero paese.



Come al solito prendo la gran parte delle notizie dal sito del grandioso Bill Roggio e dei suoi colleghi, dal momento che sugli organi normali di stampa preferiscono parlare di Fabrizio Corona.
http://billroggio.com/

giovedì, giugno 07, 2007

Dignità cercasi

Quando vedo quelle faccie simpatiche del governo in televisione, una frase mi balena immediatamente nella testa: "vi prego, ANDATEVENE". La situazione è insopportabile. Quando un paese è "guidato" (parolone) da un governo il cui unico fine è la sopravvivenza e per il quale ogni altro aspetto è da subordinare a questo bisogno, il paese è in mani pessime. Perchè come un uomo che ha paura di tutto e non fa niente per non rischiare questo esecutivo vede, a ragione, una minaccia in ogni mossa, per cui è assolutamente statico. Quando agisce lo fa solo per tenersi in vita, si trova d' accordo solo sui voti che significano sopravvivenza. Sono rimasto allibito da quanto sia difficile trovare su decine di senatori una persona che abbia la dignità di mettere fine a un simile strazio. Contano di più la pensione, che arriva dopo due anni e sei mesi, i privilegi, il potere non utilizzato, quella gradevole sensazione del velluto delle poltrone sotto le natiche. Avranno anche passato il voto di ieri sera, ma ogni giorno di sopravvivenza sprofondano sempre di più, vengono sempre più disprezzati dalla gente, perdono sempre di più la faccia. E' triste che ogni giorno che passa sia anche un giorno perso per mandare avanti l' Italia.

lunedì, maggio 28, 2007

Caos Pakistano

Il Pakistan è stato negli ultimi anni terra in bilico fra l' islamismo estremista e la linea più laica e nazionalista del presidente dittatore Musharraf, che negli ultimi anni è riuscito a tenere il paese dalla sua parte. Ultimamente si sta spostando invece verso il caos, trascinato dalle forze che sempre lo hanno minacciato. Il potere del presidente si sta affievolendo, sta perdendo la sua battaglia contro gli islamisti. Il problema è che il Pakistan è coinvolto in molte situazioni calde mondiali, quindi una sua caduta provocherebbe naturali reazioni a catena. Prima di tutto, l' Afghanistan. Gli stessi Talebani sono la scintilla che potrebbe infiammare il Pakistan. La zona al confine è stata rinominata Talebanistan perchè quelle terre, prima controllate dalle tribù e sfuggenti alle forze dello Stato, ora sono allo stesso modo sfuggenti ma in mano ai guerriglieri islamici che le usano come basi per i loro attacchi contro la Coalizione in Afghanistan. Gruppi di uomini armati, e una curiosa unità di donne armate di manganello, esce dalle moschee per imporre la sharia. I negozi di CD e video vengono bruciati. I cristiani costretti alla conversione all' Islam o alla morte. Un brutto film già visto. Il potere del Presidente è pressapoco uguale a zero: sembra anzi diventato timido e debole, tanto che è più che altro tenuto in ostaggio dai talebani, che minacciano di scatenare offensive terroristiche in tutto il Paese. Basta quindi, e probabilmente succederà, che provino a spingere ulteriormente e il governo potrà crollare anche sotto la spinta dei gravi dissidi interni al paese, come la vicenda della deposizione del capo della Corte Suprema che ha causato rivolte e morti.
Se il Pakistan davvero cadesse? Sarebbero grossi problemi. Ci troveremmo prima di tutto con un territorio enorme fuori da ogni controllo che terroristi e guerriglieri potrebbero usare per operazioni su scala mondiale, prima di tutto per spingere sull' Afghanistan. Questo imporrebbe una qualche forma di attacco da parte della Coalizione per evitare di avere un altro stato talebano pochi chilometri più in là, attacco che però è reso difficile dall' uso già intenso a cui sono sottoposte le forze americane. Si avrebbe poi un arsenale nucleare nelle mani sbagliate, un possibile intervento dell' India, un vero incendio nella regione. E' difficile francamente vedere una soluzione al problema: la caduta del Pakistan è causata da forze che sono cresciute nel tempo e hanno piantato fondamenta stabili. Se avvenisse potrebbe cambiare di molto i giochi nella zona.

martedì, maggio 22, 2007

Decadenza politica (o la Casta)

D' Alema l' altro giorno ha lanciato, con abile tempismo, l' allarme. Oggi si accorge che in realtà gli italiani non hanno più fiducia nei propri "rappresentanti". In concomitanza con questa intervista esce un libro di Gian Antonio Stella chiamato "La Casta", che riferendosi alla classe politica italiana, centra perfettamente il bersaglio. Così oggi il 70% di noi dice di non apprezzare più chi sta in Parlamento. I motivi non sono difficili da trovare.

Prima di tutto, la distanza di chi governa dai veri problemi di chi vive. Ci sono spesso casi in cui problemi marginali, vedi ad esempio la querelle sui Dico, hanno la meglio nel dibattito politico su rifiuti in Campania, crimine, tasse, degrado, che penso siano molto più importanti. Dobbiamo questo problema, ad esempio, all' incapacità di intraprendere grandi battaglie contro grandi problemi per concentrarsi sugli inutili dettagli, difetto molto italiano, oppure alla distanza che la Casta pone fra se e il resto del mondo. Chi viaggia tutto il giorno in autoblu, vive con guardie del corpo e ha tanti altri privilegi riesce raramente a percepire i problemi di chi rimane imbottigliato sulla tangenziale o ha paura a camminare in alcuni quartieri la sera.
Seconda cosa, le lacune degli uomini. Spesso lasciano deluse proprio le qualità umane del politico, prima di tutto la mancanza di coraggio e l' eccessiva ambizione, la renitenza a uscire dalle righe, a rischiare tutto, la mancanza di valori che non siano a scopo elettorale. Si vedono pochi grandi uomini al comando, probabilmente perchè il Sistema non permette la loro ascesa. Un uomo, anche di buoni ideali e gran carattere, che si mette in politica entra in un mondo di interessi risse e gelosie che o lo trasforma in un suo perfetto abitante o lo scarta.
Terza cosa: la staticità. L' anno scorso gli italiani hanno tristemente assistito a un duello elettorale fra due candidati settantenni, riedizione di ciò che era avvenuto dieci anni prima. Conferma del fatto che le cose nella politica italiana sono lentissime a cambiare, che c' è renitenza a scegliere il nuovo, la gente è sempre quella. Ed è vecchia. Lasciando stare il fatto che Berlusconi è un giovane dentro, vediamo sempre la stessa gente e come noi loro invecchiano, mentre i giovani sarebbero Veltroni (52 anni) e Fini (55). Con questo non critico direttamente le persone, me la prendo con il Sistema, per il quale sono colpevoli tutti. Penso che un Veltroni o un Fini si sarebbero volentieri seduti a Palazzo Chigi anche quando avevano i capelli più scuri.
Vogliamo aggiungere altro? Come la mancanza di idee? Qual' è il movimento politico che ha lanciato grandi ideali dal primo Berlusconi? Nessuno. Non si vede un futuro, uno sbocco. Sintomo di tutto ciò è la crisi dei grandi partiti. A destra Forza Italia sente tutti i limiti di un partito con un uomo in testa che prende le grandi decisioni e una miriade di frammentazioni e piccoli interessi man mano che si va in basso, An fatica a seguire le svolte ideologiche del suo leader, mentre a sinistra DS e Margherita devono trovare qualcosa in comune per fare il Partito Democratico. Godono gli estremisti, che con il loro populismo attirano molti scontenti.

Queste sono alcune delle cause della poca fiducia che gli italiani hanno nei propri politici. Sembrano e forse sono populistiche, probabilmente perchè è quello che pensa proprio il popolo. E non possiamo sperare molto nelle nuove generazioni: in esse la delusione e anche il disprezzo verso i politici è endemica, molti miei coetanei non vedono più in Italia un futuro, una sicurezza. Recuperare una cosa del genere è un lavoro duro, e da queste parti il lavoro duro lo apprezzano in pochi.

mercoledì, maggio 16, 2007

Aggiornamento Iraq, seconda puntata

Non sembrerebbe, ma in Iraq succedono un sacco di cose. Anche se in tv si sentono sempre le stesse notizie (attentati – congresso contro Bush – attentati – ritiro) la situazione si sta evolvendo. Proviamo allora a stendere la seconda puntata dell' Aggiornamento Iraq, saltuario riassunto di ciò che succede in quel paese straziato.
Vediamo la situazione generale. A Baghdad il piano di sicurezza sta dando risultati. Come ho già scritto nell' articolo precedente, la città che primo pullulava di quartieri in preda a milizie e terroristi è stata ripulita in molte sue parti e adesso gli estremisti colpiscono quasi esclusivamente con autobombe in luoghi popolati, riuscendo a infilarsi nelle maglie della sicurezza. E' fuori dalla capitale che al momento si svolge la maggior parte dell' azione: precisamente, le truppe della Coalizione insieme a quelle irachene stanno colpendo le province sunnite di Anbar e Diyala per cercare di sgominare Al Qaeda, principale autrice degli attentati, dove è più forte. Qui abbiamo due ottime notizie; i sunniti in Anbar si sono uniti nell' Anbar Salvation Council, un consiglio delle maggiori tribù rivoltatesi agli opprimenti terroristi, che in quelle zone si sono imposti con la paura sulle popolazioni. Questa nuova formazione, alleata con la Coalizione, ha riscosso importanti successi contro Al Qaeda e negli scorsi giorni ha persino annunciato di aver ucciso Abu Ayyub al Masri e Abu Omar al Baghdadi, il capo dei terroristi in Iraq e quello dello Stato Islamico dell' Iraq, insomma i due maggiori pezzi grossi di Al Qaeda nella nazione. Più tardi si è scoperto che al Masri è in realtà vivo, mentre ci sono dubbi su al Baghdadi, dal momento che la sua identità non è chiara e il suo potrebbe essere uno pseudonimo. Sono stati comunque catturati o uccisi in Anbar molti terroristi e resta il fatto che l' Anbar Salvation Council, gruppo di sunniti, sta battendo al Qaeda, cosa impensabile fino a poco tempo fa. Inoltre gli stessi individui hanno fondato anche una forza politica, l' Iraqi Awakening (risveglio dell' Iraq) che va ora a fare concorrenza all' altro partito sunnita, l' Iraqi Islamic Party, con posizioni più laiche e più lontane dagli estremisti.
Ispirati da queste notizie anche i sunniti di Diyala si sono uniti con il nome fantasioso di Diyala Salvation Front, intenzionati ad agire come i loro cugini di Anbar e liberarsi di Al Qaeda. Sembra che le tribù sunnite, dopo un iniziale appoggio dato ai terroristi, abbiano deciso di cambiare fronte in seguito alla ferocia con la quale questi cercavano di imporsi e all' idea che prima o poi la Coalizione l' avrebbe spuntata su di loro. Ma di questo naturalmente non si sente nulla al telegiornale.
Nel frattempo le forze della Coalizione si sgolano per dimostrare – come se ce ne fosse ancora bisogno – il coinvolgimento dell' Iran nella violenza irachena. Esistono canali di movimentazione di armi ed equipaggiamento fra i due paesi ed è ormai certo che l' Iran aiuti non solo le milizie sciite ma anche i terroristi sunniti. Ogni giorno vengono importate bombe da usare come trappole con la tecnologia EFP (Explosive Formed Penetrator) particolarmente efficaci contro le corazze dei veicoli. Tutto questo aggrava i rapporti fra Stati Uniti e Iran, e il rapimento dei marines britannici non è stato che un episodio di una guerra fredda la cui conclusione non è assolutamente chiara. E' innegabile infatti che gli Ayatollah siano sponsor della violenza in Iraq: c' è il traffico di armi, l' uso delle forze speciali Qods contro la Coalizione, l' attività dei servizi segreti iraniani a confermarlo; d' altro canto la leggerezza con cui l' Europa tratta l' Iran, l' appoggio fornitogli da Russia e Cina, il fatto che le forze militari statunitensi siano già impegnate su due fronti impedisce una reazione fulminante dell' America, che ostenta forza ma per un altro po' di tempo avrà difficoltà ad applicarla contro le truppe di Ahmadinejad. A proposito, è interessante considerare la situazione di Al Sadr, il predicatore iracheno vicino all' Iran che ha a disposizione un esercito di alcune migliaia di uomini, l' esercito del Mahdi, ma che dopo l' applicazione del piano di sicurezza ha tagliato la corda per rifugiarsi dagli Ayatollah. Ora la sua formazione politica ha lasciato il governo iracheno (era ora) e la sua milizia viene colpita ancora più duramente dalla Coalizione. Bene. Risulta invece snervante l' intenzione del parlamento iracheno di fare una pausa estiva di due mesi mentre ci sono da votare leggi importantissime come quella sul petrolio e i vari partiti stanno negoziando, chi più sinceramente chi meno, per arrivare ad una conclusione.
In sintesi, abbiamo sia buone che cattive notizie. Resta l' amarezza, come sempre, che chi ci informa fornisca solo quelle di un certo tipo e il potere che ha di cambiare l' opinione della gente possa influire anche sull' andamento del conflitto. L' Iraq è un paese che oggi combatte per la propria libertà e in caso di successo sarà uno smacco tremendo per l' islamismo violento, oltre che una democrazia e un alleato dell' Occidente piantato in mezzo al Medio Oriente. Ce la può fare? Certo, continuando così ce la farà. In effetti ora più che il combattimento sul campo è da temere il crollo dell' home front e le decisioni che i democratici americani, oggi drammaticamente simili per ottusità e mediocrità alla sinistra europea, possano prendere attraverso il Congresso. Se riuscissero a far passare una legge contenente una tabella dei tempi per il ritiro delle truppe avremmo una situazione davvero pericolosa, con un paese in bilico lasciato nelle mani dei fanatici e degli assassini. Speriamo che un presidente con nulla da perdere, ma comunque con un buon fegato come Bush riesca attraverso i veto e l' azione politica che gli è possibile ad evitare questa eventualità.


Aggiungo alla lista dei siti per farsi una vera idea di quel che succede in Iraq quello di Bill Roggio, giornalista in quel paese che fa un lavoro straordinario e che circa ogni due giorni ci aggiorna su quel che succede:

The Fourth Rail