Per chi abbia almeno un tantino a cuore la democrazia, assistere alla corsa verso la presidenza in America può essere un' occasione di svago e soprattutto di gioia. Vedere candidati che corrono da una parte all' altra della nazione, candidati piangenti, candidati ricchi, candidati in bolletta, che si scannano, si vogliono bene, si addormentano, candidati vecchi, neri, donne, candidati stanchi, candidati distrutti, tutto questo per conquistare il cuore degli elettori può colpire ed a volte emozionare, soprattutto in contrasto con altri spettacoli, ben più vicini, che altri politici ci regalano. In fondo a questa strada difficilissima, si stagliano quelle due parole al cuore della democrazia: You Decide. Alla fine, è tutto fatto per voi elettori, o affinchè voi elettori ci votiate.
Interessantissime sono i protagonisti di questo gioco, mai così insoliti come quest' anno. Vediamo da una parte i democratici, forti di potersi avvalere dello scontento (giustificato o no che sia) causato da otto anni di difficile governo repubblicano, che mettono in campo due candidati mai visti, come un nero ed una donna, a scannarsi ed a rischiare di stracciare in due il partito, tanto sono pari nella gara. Dall' altra, una storica lotta fra l' ala conservatrice, religiosa dei repubblicani ed un centrodestra più liberale e razionale, mai così divisi da quando Reagan era riuscito a fondere le due parti sotto la sua guida: a dover rimetterli nello stesso letto un uomo singolare come John McCain, del quale senza dubbio non mi dimenticherò di parlare.
In una situazione così incerta muovono le loro truppe quattro generali sopravvissuti, più alcuni caduti sul campo. Cominciamo con i dems.
Barack Obama: Non si può negare che è bravo. Bravo nel prendersi il monopolio della parola Change, a sviluppare la sua immagine di uomo solare, idealista, forte, proveniente dal popolo e non dal partito. Ha un alone di magia attorno, creato ad arte, che lo collega al primo Kennedy. I suoi discorsi sono appassionati, energici, di alto livello, "Yes we can" we can cambiare l' America.
Quando poi si arriva ai contenuti non differisce di molto da Hillary, anzi non si vede cosa ci sia di nuovo o rivoluzionario. Sconta inoltre una certa inesperienza al comando, comunque ancora tutta da provare. E' lui la garanzia, in una campagna che pensa più all' uomo che al suo programma, per molti di un serio cambiamento degli Stati Uniti. Verso cosa, non voglio immaginarlo; che sia somigliare di più all' Europa, come vorrebbero molti democratici? Da europeo non lo consiglio proprio. Per sperare di arrivare alla Casa Bianca ha solo se stesso, qualche decina di antipatiche celebrità che lo seguono perchè va di moda ed il suo popolo giovane ed idealista, ma non è poco. Per nulla.
Hillary Clinton: Una mamma presidente, potrebbe diventare. Ha un atteggiamento energico, tipico delle madri di famiglia americane, unito ad un' impressione di essere una persona competente e preparata. Gli otto anni non tranquilli già passati alla Casa Bianca le danno un vantaggio sugli avversari, inoltre sembra più pronta al ruolo oneroso di Commander in Chief del suo rivale. Rinchiude tutto questo, però, in una figura che a volte può sfociare nell' insipido e nel freddo; sembra che abbia problemi ad esprimere le emozioni, da questo punto di vista è l' opposto del nostro Barack. Inoltre è appoggiata dalla macchina del partito, fattore che non per forza può giocare a suo favore in un periodo in cui anche in America l' antipolitica si fa sentire. Sono rimasto deluso per l' utilizzo esagerato delle lacrime, che forse (forse) l' avranno aiutata in New Hampshire, ma non penso che gli americani apprezzino il fatto che un giorno potrebbe frignare davanti ad Ahmadinejad per chiedergli di fermare quel programma nucleare.
Mitt Romney: Figura strana. Un miliardario di una dinastia di politici che si paga la campagna da solo, ma forse per questo se la prende troppo comoda. In mancanza di forti candidati conservatori l' ala destra del partito appoggia lui ed Huckabee, pur fra dubbi religiosi per il suo essere mormone, ma Romney ha una parlata ed un modo di fare troppo convenzionale, non appare sempre disinvolto e manca di tratti caratteristici. Questo è quello che si vede, almeno. I conservatori, o la parte più fondamentalista di loro, sbagliano i calcoli e puntano su un candidato senza qualità che avrebbe potuto vincere le primarie grazie all' appoggio del partito, ma che in seguito avrebbe reso la vita facilissima a Barack o Hillary verso Washington. Si riabilita nel finale, dopo essere stato stritolato da Mccain al centro e Huckabee a destra, quando capisce che per non spezzettare il partito è meglio ritirarsi ed aspettare. Dimostra che in America non bastano soldi illimitati per vincere le elezioni. Avrà tempo di crescere.
Mike Huckabee: Pastore battista, è riuscito a superere Romney a destra grazie ad una personalità simpatica, un' immagine di uomo comunque umile e tranquillo che sa suonare la chitarra. Ha avuto il suo momento di luce prendendosi la prima vittoria in Iowa, poi per mancanza di contenuti ha cominciato a scendere. Ora è rimasto l' unica alternativa a McCain per i Repubblicani, ma sembra che ormai abbia poche possibilità di farcela al posto del veterano di guerra. Viene evidenziato per il suo umorismo e per la tranquillità che ha portato nelle primarie. Poi è sostenuto da Chuck Norris, chi potrebbe opporsi?
Rudy Giuliani: Che delusione. Penso che in molti avrebbero voluto vedere un italoamericano come Presidente e per molto tempo ci abbiamo creduto, ma qualcosa non ha funzionato. Consapevole del suo status di repubblicano molto liberal, non ha nemmeno provato a fare campagna nelle prime primarie (Iowa, New Hampshire, Michigan, South Carolina) tenutesi in stati che di liberal hanno poco, ha pensato di sfondare in Florida per partire da lì verso Super Tuesday. Ma non ha considerato l' effetto che queste votazioni, seppur piccole, hanno su quelle seguenti e così arrivati nello stato su cui puntava tutto si è trovato senza soldi e terzo, dopo Mccain e Romney. Ha capito allora che la gara era chiusa e tanto valeva far vincere l' amico McCain, con il quale condivideva molto elettorato. Ha le capacità di un leader derivate dall' aver governato e rimesso in ordine la città più complicata del mondo ma forse mancava in simpatia o in qualche aspetto del carattere. Quando ha annunciato l' appoggio a McCain ha detto di aver sempre creduto necessario la presenza di un "eroe" alla Casa Bianca, inserendosi così in questa categoria.
John McCain: L' ho tenuto per ultimo perchè, se finora sono riuscito a tenere un po' di imparzialità, ora la perderò tutta. Da quando ho letto la vita di quest' uomo ho pensato che fosse il presidente ideale. Viene da una famiglia di militari, è stato pilota in Vietnam, dove abbattuto, venne catturato dai comunisti. Tenuto in prigionia per cinque anni, avrebbe potuto andarsene prima, ma scelse di rimanere con i compagni prigionieri. Tornato a casa è rimasto in Marina per alcuni anni poi è passato alla politica. Ancora oggi per le torture subite ha problemi a muovere le braccia ma la sua mente è lucida e decisa e, dopo quello che ha passato, non ha problemi di coraggio. Viene considerato una testa calda dal partito, troppo disposto a fare accordi con i democratici, azzardi politici (unico ad appoggiare Bush nel suo surge in Iraq di un anno fa, ora sta incassando i dividendi del suo successo). Lo ripete sempre: non diventerò presidente per fare le cose che sanno fare tutti, ma quelle difficili. Alla sua età, presa come punto debole dagli avversari che si sbagliavano, non ha problemi a fare cose impopolari e non si preoccupa di seguire i sondaggi. Il suo punto di forza? Provate a guardarlo parlare, anche se non capite l' inglese. Ha la calma, forza e saggezza del guerriero invecchiato, si esprime con una sincerità e tranquillità disarmanti. Fa suo lo straight talk, parlare chiaro; per far capire il personaggio, basta dire che arrivato in Michigan dai lavoratori licenziati dalla malata General Motors non gli ha promesso, come Romney, di ridargli (sapendo di non poterlo fare) il loro posto di lavoro, ha detto "ragazzi, lavoreremo affinchè se ne trovino altri". Romney ha vinto in Michigan, ma a McCain dev' essere servito, perchè ha vinto in tutti gli altri stati. E' esperto in politica estera, deciso a tenere gli Stati Uniti sull' offensiva contro i nemici, ma nessuno come un soldato sa quanto sia dura una guerra. Non diverso dagli altri repubblicani sull' economia, sostiene responsabilmente che oltre ad abbassare le tasse bisognerebbe anche pensare a diminuire la spesa. Ormai avviato alla candidatura per i repubblicani, deve ora saldare il partito fra la sua ala, che va da una grossa presa sugli indecisi ai liberal fino ad alcuni neocon, ed i conservatori religiosi che sembrano non sopportarlo. Ma per uno che ha passato quel che ha passato lui, questo dev' essere solo un' altra missione da eroi.
sabato, febbraio 09, 2008
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