venerdì, novembre 02, 2007

Oggi i rumeni sono tutti cattivi. E fra una settimana?

"Gli italiani preferivano, nelle cose riguardanti la collettività, gli slanci emotivi agli sforzi tenaci."

Questo diceva Montanelli sugli italiani del dopoguerra, e sembra che nulla sia cambiato, perchè questo mi viene in mente quando vedo i telegiornali in questi giorni. Soprattutto la parte degli slanci emotivi. Da fonti che fino a pochi giorni fa avrebbero sempre applicato la regola di "non fare di tutt' erba un fascio", "gli immigrati criminali sono comunque una piccolissima minoranza", "bisogna considerare il contesto socio - culturale dal quale provengono" e così via, oggi sento con sgomento "ma se in Romania il tasso di criminalità è bassissimo, perchè vengono tutti a delinquere in Italia?", "nelle baraccopoli dei rom si rifugiano i più accaniti criminali", dichiarazioni di rabbia e paura, cose anche poco ragionevoli che fanno pensare anche me che di sicuro non sono un sostenitore dell' apertura verso l' immigrazione o della tolleranza verso chi commette reati. Quello di questi giorni è un classico slancio emotivo italiano. Dettato da anni di paura e rabbia che ognuno di noi cova verso un problema che è tale da molto tempo, non che abbiamo scoperto oggi. Oggi applicheremo giustamente decreti legge e misure d' emergenza, fra una settimana però ce ne saremo lentamente dimenticati, mancando di quello sforzo tenace atto a risolvere i problemi. La criminalità dovuta all' immigrazione esiste da quando esiste l' immigrazione, non da tre giorni. Questo lo sanno tutti, ma per molti dirlo sarebbe stato razzismo, mentre si trattava sempliemente di statistica. Nessun governo di sinistra ha mai fatto nulla per remore ideologiche, e il governo di destra ha fatto qualcosa ma non abbastanza per paura di apparire troppo duro, o per aver sottovalutato il problema. E forse non basta un pacchetto sicurezza, ci vogliono più carceri, leggi migliori, giudici migliori, forze dell' ordine messe meglio, politici più attenti. Uno sforzo tenace che potrebbe durare anni, appunto, ma l' unico capace di fornire soluzioni dalle fondamenta stabili. Adesso qualsiasi misura ci sembrerà ragionevole per fronteggiare la criminalità. Ma fra una settimana, lo slancio sarà finito?

giovedì, settembre 27, 2007

I media iraniani elogiano Ahmadinejad per il discorso alla Columbia

A quanto pare non mi sbagliavo sull' aumento di popolarità che il discorso all' università americana avrebbe portato al nostro Mahmoud. I media persiani hanno presentato il tutto come un successo del presidente, evitando i punti in cui questo faceva la figura del cretino, ed essendo essi l' unica fonte che il suo popolo ha molti crederanno che il loro dittatore sia andato nella più grande democrazia del mondo per essere applaudito. Penso che solo questo motivo bastasse a non invitarlo. Per dare un' idea di come possano ignorare la realtà, traduco un' agenzia iraniana da New York (presa dal mitico CounterTerrorismBlog):

Malgrado larga opposizione dei media statunitensi, propaganda negativa e sdegno per il discorso del presidente della Repubblica Islamica Iraniana Mahmoud Ahmadinejad alla Columbia University, egli ha espresso le proprie opinioni e risposto alle domande degli studenti qui Lunedì mattina.

Nel secondo giorno dopo il suo arrivo a New York, e nel mezzo di un' accoglienza in piedi del pubblico presente nella sala dove il presidente doveva fare il suo discorso nelle prime ore del giorno, Ahmadinejad ha detto che l' Iran non attaccherà alcun paese nel mondo.

Prima del discorso di Ahmadinejad, il preside della Columbia University in un breve discorso ha comunicato al pubblico che avrebbero ascoltato le posizioni dell' Iran, che il presidente avrebbe esposto.

Ha detto che l' Iran è un paese amante della pace, odia la guerra, e tutti i tipi di aggressione.

Riferendosi ai progressi tecnologici della nazione iraniana negli ultimi anni, il presidente li ha considerati un segno del deciso volere degli iraniani di raggiungere uno sviluppo sostenibile e un avanzamento rapido.

Il pubblico in occasioni ripetute ha applaudito Ahmadinejad quando ha toccato gli argomenti delle crisi internazionali.

Alla fine del suo discorso il presidente Ahmadinejad ha risposto alle domande degli studenti su argomenti come Israele, Palestina, il programma nucleare iraniano, lo stato delle donne in Iran e una serie di altre questioni

Naturalmente niente delle contestazioni, i fischi, le figure da imbecille che ha fatto. Non avevamo bisogno di un altro discorso di Ahmadinejad per capire che è un cretino. Ma lui aveva bisogno di questo invito.

martedì, settembre 25, 2007

Mahmoud, il maestro di dissimulazione

La questione è, si può invitare Mahmoud Ahmadinejad in un' università a parlare? Si può, certo, ma non penso sia giusto da parte degli organizzatori. E non perchè questo signorino barbuto, con atteggiamento umile, vestiario povero e piglio gentile abbia e supporti idee orribili. Fossi stato il rettore dell' Università o chi per lui non avrei mai potuto chiamare il presidente iraniano per un semplice motivo, perchè al momento è un nemico degli Stati Uniti. Lo è attivamente: soldati americani muoiono in Iraq uccisi per suo volere, sia quando sparano quelli di al Qaeda, sia i terroristi sciiti, perchè entrambi sono supportati e sospinti dal suo Iran. Mi sembrerebbe quindi irrispettoso ed eticamente sbagliato chiamare a parlare un uomo che ha ucciso e continua ad uccidere i figli del mio paese a parlare nella mia facoltà.
Anche questo però, a suo modo, è stato però una prova di forza americana. Pensavo, all' inizio, che l' invito fosse una trovata dei liberal, che ormai tanto allegramente assomigliano alla nostra sinistra, ed effettivamente mi sono accorto soffrendo che qualche cretino applaudiva il cretino che parlava; dopo aver visto il dibattito e aver sentito l' accoglienza del preside Lee Bollinger ho capito che questa invece voleva essere una fiera attestazione di superiorità della democrazia e della libertà americana verso quello che dal preside stesso è stato definito un dittatore, con tutto il disprezzo del termine. Dopo aver visto il discorso, malgrado rimanga la mia disapprovazione per le ragioni sopra esposte, l' idea dell' invito mi sembra molto più accettabile.
Non poteva sperare, e probabilmente non sperava, il presidente di Teheran di fare una buona figura davanti alla platea della Columbia University. Ha negato l' Olocausto, ha negato l' esistenza di omosessuali iraniani, ha negato di sostenere il terrorismo, ha negato di volere la bomba atomica. Tutte cose su cui tutti sanno la verità. Ha usato l' arte della dissimulazione, sancita dalla sua religione, dicendo balle su balle. Devo ammettere, inoltre, che come leader ha un certo fascino. Ma la sua immagine qui non poteva scendere di più di quanto non fosse in partenza, e lui lo sa; invece a casa sua e non solo sarà presentato come il coraggioso che è andato a parlare in casa del nemico e che ha difeso il suo paese. Per questo ci è andato, per questo ci ha guadagnato. Questo è un fattore al quale chi ha formulato l' invito doveva pensare.

martedì, settembre 18, 2007

Ma si, dialoghiamo con l' Iran!

A quanto pare la Francia, unica in Europa, ha aperto gli occhi. Il ministro degli esteri Kouchner non ha avuto scrupoli a descrivere quello che succederà se le cose continuano così in Iran: guerra.
Al momento l' Iran ha l' ambizione di diventare la potenza regionale del Medio Oriente. E così utilizza i suoi Hezbollah per prendere controllo del Libano, i suoi terroristi in Iraq per conquistarlo, finanzia Hamas per dar fastidio a Israele, appoggia attivamente i talebani per espandere la sua influenza in Afghanistan. E già a questo punto sta facendo molti danni. Immaginiamoci quando avrà la bomba atomica e potrà minacciare i suoi vicini, che a parte Israele ne sono sprovvisti. Quando sarà impossibile mettere fine alla sua attività fiera e comprovata di stato sponsor del terrorismo e alle sofferenze del suo popolo schiavo degli ayatollah perchè si potrebbe far partire una guerra nucleare. Quando diventerà, stato integralista islamico, la potenza del Medio Oriente e detterà legge in una nuova ondata di fanatismo, includendo anche il controllo dei prezzi del petrolio. Quando gli stati confinanti, a cominciare dall' Arabia Saudita, cercheranno a loro volta di ottenere la bomba atomica per difendersi. Questo e molto peggio è lo scenario che si defila. C' è qualcuno che vuole evitarlo? Si, i soliti. In America persino i candidati democratici prospettano l' idea di fermare l' Iran con tutti i mezzi. E hanno ragione, perchè va fermato con tutti i mezzi. Non si può arrivare ad un Iran nucleare. Non l' ha capito come al solito la vecchia, rimbambita e fifona Europa. A parte la Francia, tutti hanno reagito come se si pensasse di far del male a un bambino. Indignati, non si comincia una guerra. Acoltate le proposte costruttive di D' Alema, utili grossomodo come quelle di Grillo. Non vogliono capire che se non si fa qualcosa con l' Iran si avrà anche di peggio di una guerra. Se l' Europa, compatta, facesse capire insieme all' America e a tutti quelli che ci stanno agli ayatollah che se arrivassero ad un passo dalla bomba atomica saremmo costretti a fermarli, probabilmente non ci sarà bisogno di una guerra. A volte basta la minaccia.
Ma se i persiani si trovano davanti un' America indebolita (ma determinata) e un' Europa spezzata e stupidamente timida si sentiranno incentivati a continuare nel loro glorioso cammino verso l' arma finale e a quel punto gli americani o gli israeliani dovranno agire. Meno male ci sarà l' Europa, a dire che ci vuole il dialogo!

martedì, settembre 11, 2007

11 Settembre, di nuovo

E' un anno che ho aperto questo blog, ma ancora più fondamentale è il fatto che oggi è il sesto anniversario degli attentati in America. Vorrei fare il punto della situazione sulla War on Terror, ma esami su esami mi impediscono di avere il tempo necessario. Mi limito a dire: ricordiamoci, gente, ricordiamoci. Sei anni fa abbiamo detto che siamo tutti americani. Io lo sono ancora.

Oh, say! can you see by the dawn's early light
What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming;
Whose broad stripes and bright stars, through the perilous fight,
O'er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rocket's red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there:
Oh, say! does that star-spangled banner yet wave
O'er the land of the free and the home of the brave?

lunedì, settembre 10, 2007

Iraq, il giorno della verità

Ci siamo. Dopo otto mesi di surge oggi il generale David Petraeus, comandante delle forze della Coalizione in Iraq, testimonierà davanti al Congresso sull' operato suo, di 170mila soldati americani, 250mila iracheni e un 'intero popolo che cerca di sfuggire alla violenza e all' oppressione.

Quello che dirà avrà conseguenze enormi. Petraeus è considerato il più brillante dei generali; flessibile, svelto, il suo motto è " Forza fisica e mentale sono essenziali per la leadership. E' difficile comandare il fronte se sei nel retro della formazione". Ed è vero, tanto che ha dimostrato spesso una gran faccia tosta a presentarsi per le strade irachene, in mezzo ad un' accoglienza generalmente calda della gente, in situazioni pericolose nelle quali tutta questa leadership poteva essere terminata da un kamikaze o da un buon cecchino. Un uomo di comando bravo nella fase di combattimento quanto in quella che viene dopo, fattore fondamentale in Iraq. Un generale americano di vecchi valori ma di nuove abilità.
E in due giorni questo pezzo d' uomo girerà per il parlamento statunitense, dicendo cosa si è riusciti a fare laggiù, se ci sono stati progressi, quali sono i problemi, cosa ne pensa chi è più vicino al fronte insomma. E quel che dirà interesserà l' opinione pubblica e di conseguenza i politici americani, perchè se il buon generale e l' ambasciatore Crocker che lo accompagnerà saranno ottimisti allora molti parlamentari e soprattutto candidati alle presidenziali dovranno agire di conseguenza. I Repubblicani, a quanto si è sentito dal debate del New Hampshire di ieri, hanno già investito sul funzionamento del surge. I democratici sono incerti e dovranno trovare un modo di cavalcare il cambio di cose in Iraq. In generale l' opinione degli interrogati influirà sul futuro della guerra, sul ritiro o no delle truppe, sull' andamento della guerra globale al terrorismo in modo enorme.

Ma vediamo cosa potrebbe dire Petraeus. Arrivò al comando supremo in Iraq in Gennaio, in un paese che però conosceva già bene, trovando una situazione di poca confidenza nella vittoria. Grandi parti del paese erano in mano alle milizie sunite o sciite, la violenza era dilagante, le forze della Coalizione sulla difensiva. Bush cercò di metterlo nella situazione di lavorare al meglio, inaugurando una nuova strategia, un aumento molto faticoso di truppe, misure non solo militari ma anche economiche e politiche. Il Generale, grande organizzatore, si mise subito al lavoro. La sua strategia era nella teoria semplice e si basavo sul controllo del territorio:
1) Ripulisci una zona da terroristi, milizie o comunque malintenzionati con uso di forze sia americane che irachene
2) Stabilisci basi in quelle zone per evitare che una volta mandati via i cattivi non ritornino
3) Coinvolgi la popolazione locale, con il presupposto che la tua presenza sia un vantaggio anche per loro, e stabilisci ottimi rapporti
Tutto è partito a Baghdad, dove la strategia è stata applicata la prima volta per ripulire molti bellicosi quartieri. Nella capitale ha funzionato, anche se non al 100%, e ha ridotto di molto la violenza. E' venuta poi la volta dei territori vicini e come un cerchio che si allarga le forze americane e irachene hanno cominciato a grattar via i terroristi da zone sempre più ampie, spesso ottenendo il favore della popolazione che non ne poteva più, soprattutto degli stranieri di Al Qaeda. Molti gruppi che due anni fa attaccavano gli americani oggi combattono i terroristi al loro fianco, in primo luogo nelle zone sunnite di Al Anbar e Diyala.
Questa strategia ha permesso di aumentare la sicurezza, gli attentati sono calati di molto, in un processo che alla fine coinvolgerà, si spera, tutto il Paese. Al Qaeda è costantemente attaccata e adesso riesce ad agire solo nelle zone esterne, a nord della provincia di Diyala appena ripulita. L' esercito del Mahdi, la formazione sciita di Moqtada al Sadr, è spezzata grazie al paziente lavoro della diplomazia e delle armi. Una parte di essa, chiamata "nobile", si è avvicinata al governo. Un' altra si è sciolta in piccoli gruppi militari. Un' altra ancora si è legata all' Iran e agisce su sua commissione come in libano Hezbollah, ed è quella che viene colpita dalla Coalizione al momento. Al Sadr dal canto suo non sembra sapere cosa fare. Certo, tutta questa gente può ancora mordere e lo fa, ma di sicuro è meno letale.
Il punto più preoccupante è quello politico: malgrado i successi militari, la classe dirigente irachena non ha ancora trovato un accordo su punti fondamentali come la Costituzione, la legge sul petrolio e altre. Inoltre il governo di al Maliki sembra troppo debole e anche vicino all' Iran. Si spera che con le dovute pressioni le cose si muovano.

E ora vado. Dicono che alle sei oggi ci sarà una delle più grandi battaglie del buon Petraeus.

giovedì, settembre 06, 2007

Sicurezza, neanche l' ombra

Solito copione: una dimostrazione di buone intenzioni da parte dell' ala meno irragionevole del Governo, una proposta di legge in teoria intelligente, una parte della Maggioranza che non ci sta, l' Opposizione dal canto suo non sa bene come reagire, il Governo ha paura di cadere quindi prosegue incertamente, i riformisti si rompono i maroni ma non fanno molto casino perchè ancora non è tempo di cadere, la sinistra radicale la spunta ma rimane irritata perchè sulla questione non l' avevano consultata, ma non è il caso di fare molto casino se no si perdono le poltrone. Il disegno di legge per far fronte ad una emergenza enorme non passa, tutti finiscono come prima, anche peggio.

Quello che succede nel Governo da un anno e qualcosa a questa parte. Ormai ci abbiamo fatto l' abitudine. Quello che rompe è che in questo caso l' argomento sia importantissimo, la sicurezza. Perchè piano piano questa sprofonda in Italia. A causa dell' Indulto, a causa delle scarcerazioni facili e dei giudici incapaci, a causa della disorganizzazione, a causa delle leggi che non vengono applicate, a causa della mancanza di carceri, potremmo andare avanti per ore. Onestamente è odioso vedere come una parte della sinistra senta il grido di dolore dei poveri italiani che ogni giorno devono affrontare la paura del crimine e se ne freghi. Per non contravvenire alla loro ideologia, devono considerarlo come una questione sociale. Colpa del sistema, non dell' individuo che sceglie di fare quello che fa. Così è enorme l' indulgenza contro ogni tipo di crimine, soprattutto quelli che vengono stupidamente e burocraticamente chiamati "microcriminalità" che di micro non hanno proprio niente, soprattutto se a compierli, come in gran parte dei casi, sono gli immigrati che loro hanno fatto entrare perchè non si chiudono le porte a nessuno, neanche se entra in casa tua per fare casino. La gente si è rotta le scatole, non ne può più. Quanto passerà prima che faranno di tutt' erba un fascio e, a proposito di fascio, si affideranno al primo che prometta sicurezza senza fronzoli, di fronte all' incapacità di chi dovrebbe pensarci? Amato ha preso il punto alla grande: "Se fossimo così incoscienti da pensare che la sicurezza non è un nostro problema, creeremmo le condizioni per una svolta reazionaria e fascista nel nostro Paese". Uno dei fattori che consentì al fascismo di salire al potere fu l' impossibilità della classe politica post prima guerra mondiale di agire, soprattutto contro la lotta armata politica che straziava l' Italia in quegli anni. La gente non ne poteva più di contadini che si ribellavano, bande rivoluzionarie, squadre di picchiatori, battaglie nelle campagne e nelle città. Arrivò Mussolini (che era uno di quelli che aveva portato a quella situazione), e promise di sistemare tutto, casomai con metodi non democratici, ma non è che alla gente fregasse molto. Andò al potere, gli diede più sicurezza, ci tolse la libertà.
Oggi la situazione è preoccupantemente analoga. Se la sinistra non riesce per colpa di una sua ala a rimediare al problema e la destra, di cui la sicurezza è sempre stata una bandiera, non porta soluzioni attendibili e non dimostra di saperle applicare, prima o poi uscirà qualcuno che promette di mettere a posto le cose, ma a quale prezzo?

domenica, luglio 08, 2007

Due visioni

Solo due parole: sembra che oggi la grande divisione dell' Occidente sia fra chi pensa che il più grande pericolo per il mondo al momento sia l' estremismo islamico e chi teme di più il riscaldamento globale.

mercoledì, luglio 04, 2007

Thank you, America

Questo è un breve post per per augurare ai nostri amici americani un felice Independence Day e per ringraziarli per quello che fanno da un secolo ormai: essere paladini e difensori del mondo libero. Ci sono state e ci sono molte grandi nazioni in questo mondo, ma non ricordo che altre abbiano fatto quello che hanno fatto gli Stati Uniti d' America, ovvero salvarci le chiappe quattro volte: intervenendo durante la prima guerra mondiale in uno dei momenti peggiori per l' Intesa, liberando l' Europa dal nazifascismo, proteggendoci dalla minaccia sovietica per quarantacinque anni mentre molti di noi si divertivano a fare i comunisti, e ultimamente essendo l' unica ad agire contro il grande attacco dell' integralismo islamico. Che riserva di gratitudine dovremmo avere per l' America noi europei solo per questo, e per questo perdonarle gli errori che a volte fa, sapendo che tali errori li abbiamo commessi e li commettiamo anche noi? Invece no, siamo sempre più acidi verso i nostri cugini (o fratelli), senza accorgerci che siamo noi che stiamo crollando a causa nostra, non per colpa di chi ci difende.
Grazie America, meno male che ci sei tu, in attesa di un giorno in cui riusciremo di nuovo a badare a noi stessi!

martedì, giugno 26, 2007

Unifil, solo un bersaglio

Già dall' inizio l' idea di inviare le forze Onu in Libano poteva essere carica di dubbi: le condizioni in cui si sarebbe trovata, la sua distribuzione sul territorio, soprattutto la suà utilità e il suo fine. Che portasse la pace, sembrava strano. Al massimo poteva portare quella stasi che piace tanto alla sinistra, ovvero la situazione in cui i seguenti soggetti:
a)Stati Uniti d' America b)Israele c)occasionali alleati dei primi due
non aprono il fuoco. Ma la pace vera no, perchè dal momento che la guerra di Hezbollah contro Israele può terminare solo con la sconfitta del primo o la distruzione del secondo, questo corpo di pace, non volendo disarmare Hezbollah, non avrebbe influito. Oppure l' avrebbe fatto negativamente. Non è un caso infatti che i guerriglieri finanziati dall' Iran fossero felicissimi dell' arrivo dell' Unifil: così avrebbero potuto fare quel cavolo che gli pareva senza che quei rompiscatole di Israele intervenissero, come ad esempio prendere soldi da Ahmadinejad, riarmarsi, cercare di prendere il potere dalle mani del primo ministro Siniora. Così le truppe dell' Onu, fatte da bravi soldati che non sapevano (non lo sa nessuno) che cosa andassero a fare a parte l' importante ma non fondamentale lavoro umanitario, si sono trovate nella bizzarra situazione di difendere HEZBOLLAH DA ISRAELE. Spesso i francesi e gli ebrei sono stati a un passo dal venire alle mani, quando gli israeliani cercavano di impedire che Hezbollah ricostruisse le fortificazioni al confine. Così quella pubblicizzata come la grande mossa dell' Europa unita e del governo Prodi è stata quella di mandare migliaia di truppe a difendere un' organizzazione terrorista da uno stato libero, attaccato e odiato da gran parte dei suoi vicini, che inoltre è anche l' unico stato libero della regione. Ma noi ci siamo andati lo stesso, ora ci troviamo lì e la situazione peggiora. Al Qaeda ha attaccato gli spagnoli, ai quali ritirarsi dall' Iraq a quanto pare non è servito a difendersi dai terroristi (ma va là?) e potrebbe farlo anche con noi o con i francesi. La forza Unifil sta diventando un bersaglio, utile a molte parti per scopi politici o militari. Ma ora che i soldati sono già giù, cosa si può fare? Non facciamo come i sinistroidi, che vogliono il ritiro delle truppe dai posti a loro politicamente scomodi. Mandare l' Unifil in Libano a quelle condizioni è stato un grosso errore, ma ritirarsi ora sarebbe una figuraccia enorme davanti all' intero Medio Oriente. Non si può continuare così, ad ogni modo: la forza Onu potrebbe entro quest' estate diventare strumento del gioco politico e bersaglio di Al Qaeda, che cerca di sfruttare l' instabilità del Libano, oppure ostaggio di Hezbollah, che dati i suoi numeri, l' armamento fresco ricevuto dall' Iran e la padronanza del territorio potrebbe mettere a serio rischio tutti i diecimila europei. Qualunque mossa si farà sarà dolorosa comunque: si potrebbe decidere disarmare Hezbollah, ma sarebbe veramente un processo sanguinoso, che richiederebbe più uomini e l' appoggio di Israele e del governo libanese, uno sforzo troppo pesante per la rimbambita Europa. Ci si potrebbe impegnare ad aiutare l' esercito libanese ad arginare al Qaeda e i suoi affiliati, che sono in crescita nella zona e potrebbero scaldare l' estate con i propri attentati, questo sarebbe meno difficile. Qualsiasi alternativa si scelga, non c' è una strada facile, ce le siamo tutte giocate andando in Libano senza una missione precisa.

sabato, giugno 23, 2007

La battaglia d' Iraq

Naturalmente passa in sordina, ma in questi giorni in Iraq si sta svolgendo l' operazione con il maggior coinvolgimento di truppe dall' invasione del 2003. Dopo aver migliorato la situazione a Baghdad, le forze della Coalizione si concentrano sulla pulizia delle "Belts", tutta la zona, di raggio di una centinaia di chilometri, che circonda la capitale. Qui dopo l' inizio dell' operazione "Stabilire l' ordine" a Febbraio si è rifugiato il nemico, lasciando buona parte delle sue basi a Baghdad. Chi è questo nemico? Da una parte Al Qaeda, che continua a colpire duro con i suoi attentati grazie alla sua natura agile e sfuggevole ma che, dopo aver perso la provincia occidentale di Al Anbar in seguito alla ribellione delle tribù sunnite che aveva cercato di sottomettere all' islamismo più cattivo, ha subito un grave colpo. Dall' altra parte ci sono le milizie sciite di Muqtad al Sadr, legato a doppio nodo con gli iraniani, che dopo essere tornato da Teheran dove era fuggito ha ritrovato il suo esercito del Mahdi, originalmente potente, spezzato in due fra chi gli è ancora fedele e chi pensa invece di collaborare con il governo iracheno; questa formazione resta comunque ancora preoccupante per via delle forte presa che ha soprattutto sulle zone meridionali del paese (noi italiani, che eravamo a Nassiriya, sappiamo qualcosa dei rapporti con l' esercito del Mahdi che spesso non ha esitato a spararci contro). Ci sono poi le organizzazioni clandestine iraniane che supportano al Sadr o spesso svolgono operazioni autonome e sono formate da agenti di Ahmadinejad, con l' esplicito compito di scatenare caos in Iraq. Questi sono i tre principali tipi di nemici che si possono incontrare oggi. Le formazioni sunnite non integraliste, ex baathiste, si sono in gran parte ribellate ad Al Qaeda e vengono inglobate nell' esercito e nella polizia locali. Esiste poi una galassia di forze antigovernative, religiose e laiche e via dicendo, ma sono in ruolo secondario nella situazione attuale.
Per eliminare le forze nemiche nelle belts scatta così quella che viene denominata la battaglia d' Iraq, che si divide in operazioni differenti: Arrowhead Ripper, quella meno ignorata dai media, agisce nella regione di Diyala a nord est di Baghdad, in particolare nella città di Baqubah che Al Qaeda aveva eletto a capitale del suo virtuale "Stato Islamico d' Iraq". Qui i terroristi hanno approntato solide postazioni difensive, dal momento che sapevano che prima o poi l' attacco sarebbe cominciato. Il comando alleato prevede di ripulire la città, dopo aver soppresso le solide postazioni difensive nemiche, appostando forze per bloccare le vie d' uscita, in modo da chiudere in trappola i terroristi. L' operazione potrebbe richiedere vari mesi e alla fine ci si aspetta che la regione di Diyala non offra più un valido rifugio ad Al Qaeda, costringendola a spostarsi più lontano dalla capitale e ad esporsi per farlo.
Marne Torch e Commando Eagle sono le operazioni che si svolgono a sud della capitale, nella zona di Arab Jabour e in quella di Mahmudiyah, nel "Triangolo della morte", mentre si ha un altro impiego di truppe a Al Anbar, per eliminare le ultime presenze di Al Qaeda nella zona, in una operazione il cui nome non è stato ancora rilasciato.
Inoltre a Baghdad e nel sud dell' Iraq continuano gli attacchi contro le milizie di Al Sadr per ridurre al minimo l' influenza iraniana nel paese.
Il fine di questi movimenti militari è liberare mano a mano l' Iraq dai suoi nemici partendo dalla capitale, il punto più caldo, muovendosi verso l' esterno. I nostri giornali, se mai ne parleranno, diranno che tutto ciò non ha avuto successo perchè i capi dei terroristi prima degli attacchi fuggono, sottraendosi alla Coalizione, ma non capiscono o non vogliono capire che il semplice fatto che se ne vadano è una vittoria in un paese dove le distanze valgono ancora molto, perchè la capacità di agire di Al Qaeda o le scorribande dell' esercito di Al Sadr saranno fortemente ridotte.
Spero che sia un ulteriore passo per la stabilizzazione di questo povero paese.



Come al solito prendo la gran parte delle notizie dal sito del grandioso Bill Roggio e dei suoi colleghi, dal momento che sugli organi normali di stampa preferiscono parlare di Fabrizio Corona.
http://billroggio.com/

giovedì, giugno 07, 2007

Dignità cercasi

Quando vedo quelle faccie simpatiche del governo in televisione, una frase mi balena immediatamente nella testa: "vi prego, ANDATEVENE". La situazione è insopportabile. Quando un paese è "guidato" (parolone) da un governo il cui unico fine è la sopravvivenza e per il quale ogni altro aspetto è da subordinare a questo bisogno, il paese è in mani pessime. Perchè come un uomo che ha paura di tutto e non fa niente per non rischiare questo esecutivo vede, a ragione, una minaccia in ogni mossa, per cui è assolutamente statico. Quando agisce lo fa solo per tenersi in vita, si trova d' accordo solo sui voti che significano sopravvivenza. Sono rimasto allibito da quanto sia difficile trovare su decine di senatori una persona che abbia la dignità di mettere fine a un simile strazio. Contano di più la pensione, che arriva dopo due anni e sei mesi, i privilegi, il potere non utilizzato, quella gradevole sensazione del velluto delle poltrone sotto le natiche. Avranno anche passato il voto di ieri sera, ma ogni giorno di sopravvivenza sprofondano sempre di più, vengono sempre più disprezzati dalla gente, perdono sempre di più la faccia. E' triste che ogni giorno che passa sia anche un giorno perso per mandare avanti l' Italia.

lunedì, maggio 28, 2007

Caos Pakistano

Il Pakistan è stato negli ultimi anni terra in bilico fra l' islamismo estremista e la linea più laica e nazionalista del presidente dittatore Musharraf, che negli ultimi anni è riuscito a tenere il paese dalla sua parte. Ultimamente si sta spostando invece verso il caos, trascinato dalle forze che sempre lo hanno minacciato. Il potere del presidente si sta affievolendo, sta perdendo la sua battaglia contro gli islamisti. Il problema è che il Pakistan è coinvolto in molte situazioni calde mondiali, quindi una sua caduta provocherebbe naturali reazioni a catena. Prima di tutto, l' Afghanistan. Gli stessi Talebani sono la scintilla che potrebbe infiammare il Pakistan. La zona al confine è stata rinominata Talebanistan perchè quelle terre, prima controllate dalle tribù e sfuggenti alle forze dello Stato, ora sono allo stesso modo sfuggenti ma in mano ai guerriglieri islamici che le usano come basi per i loro attacchi contro la Coalizione in Afghanistan. Gruppi di uomini armati, e una curiosa unità di donne armate di manganello, esce dalle moschee per imporre la sharia. I negozi di CD e video vengono bruciati. I cristiani costretti alla conversione all' Islam o alla morte. Un brutto film già visto. Il potere del Presidente è pressapoco uguale a zero: sembra anzi diventato timido e debole, tanto che è più che altro tenuto in ostaggio dai talebani, che minacciano di scatenare offensive terroristiche in tutto il Paese. Basta quindi, e probabilmente succederà, che provino a spingere ulteriormente e il governo potrà crollare anche sotto la spinta dei gravi dissidi interni al paese, come la vicenda della deposizione del capo della Corte Suprema che ha causato rivolte e morti.
Se il Pakistan davvero cadesse? Sarebbero grossi problemi. Ci troveremmo prima di tutto con un territorio enorme fuori da ogni controllo che terroristi e guerriglieri potrebbero usare per operazioni su scala mondiale, prima di tutto per spingere sull' Afghanistan. Questo imporrebbe una qualche forma di attacco da parte della Coalizione per evitare di avere un altro stato talebano pochi chilometri più in là, attacco che però è reso difficile dall' uso già intenso a cui sono sottoposte le forze americane. Si avrebbe poi un arsenale nucleare nelle mani sbagliate, un possibile intervento dell' India, un vero incendio nella regione. E' difficile francamente vedere una soluzione al problema: la caduta del Pakistan è causata da forze che sono cresciute nel tempo e hanno piantato fondamenta stabili. Se avvenisse potrebbe cambiare di molto i giochi nella zona.

martedì, maggio 22, 2007

Decadenza politica (o la Casta)

D' Alema l' altro giorno ha lanciato, con abile tempismo, l' allarme. Oggi si accorge che in realtà gli italiani non hanno più fiducia nei propri "rappresentanti". In concomitanza con questa intervista esce un libro di Gian Antonio Stella chiamato "La Casta", che riferendosi alla classe politica italiana, centra perfettamente il bersaglio. Così oggi il 70% di noi dice di non apprezzare più chi sta in Parlamento. I motivi non sono difficili da trovare.

Prima di tutto, la distanza di chi governa dai veri problemi di chi vive. Ci sono spesso casi in cui problemi marginali, vedi ad esempio la querelle sui Dico, hanno la meglio nel dibattito politico su rifiuti in Campania, crimine, tasse, degrado, che penso siano molto più importanti. Dobbiamo questo problema, ad esempio, all' incapacità di intraprendere grandi battaglie contro grandi problemi per concentrarsi sugli inutili dettagli, difetto molto italiano, oppure alla distanza che la Casta pone fra se e il resto del mondo. Chi viaggia tutto il giorno in autoblu, vive con guardie del corpo e ha tanti altri privilegi riesce raramente a percepire i problemi di chi rimane imbottigliato sulla tangenziale o ha paura a camminare in alcuni quartieri la sera.
Seconda cosa, le lacune degli uomini. Spesso lasciano deluse proprio le qualità umane del politico, prima di tutto la mancanza di coraggio e l' eccessiva ambizione, la renitenza a uscire dalle righe, a rischiare tutto, la mancanza di valori che non siano a scopo elettorale. Si vedono pochi grandi uomini al comando, probabilmente perchè il Sistema non permette la loro ascesa. Un uomo, anche di buoni ideali e gran carattere, che si mette in politica entra in un mondo di interessi risse e gelosie che o lo trasforma in un suo perfetto abitante o lo scarta.
Terza cosa: la staticità. L' anno scorso gli italiani hanno tristemente assistito a un duello elettorale fra due candidati settantenni, riedizione di ciò che era avvenuto dieci anni prima. Conferma del fatto che le cose nella politica italiana sono lentissime a cambiare, che c' è renitenza a scegliere il nuovo, la gente è sempre quella. Ed è vecchia. Lasciando stare il fatto che Berlusconi è un giovane dentro, vediamo sempre la stessa gente e come noi loro invecchiano, mentre i giovani sarebbero Veltroni (52 anni) e Fini (55). Con questo non critico direttamente le persone, me la prendo con il Sistema, per il quale sono colpevoli tutti. Penso che un Veltroni o un Fini si sarebbero volentieri seduti a Palazzo Chigi anche quando avevano i capelli più scuri.
Vogliamo aggiungere altro? Come la mancanza di idee? Qual' è il movimento politico che ha lanciato grandi ideali dal primo Berlusconi? Nessuno. Non si vede un futuro, uno sbocco. Sintomo di tutto ciò è la crisi dei grandi partiti. A destra Forza Italia sente tutti i limiti di un partito con un uomo in testa che prende le grandi decisioni e una miriade di frammentazioni e piccoli interessi man mano che si va in basso, An fatica a seguire le svolte ideologiche del suo leader, mentre a sinistra DS e Margherita devono trovare qualcosa in comune per fare il Partito Democratico. Godono gli estremisti, che con il loro populismo attirano molti scontenti.

Queste sono alcune delle cause della poca fiducia che gli italiani hanno nei propri politici. Sembrano e forse sono populistiche, probabilmente perchè è quello che pensa proprio il popolo. E non possiamo sperare molto nelle nuove generazioni: in esse la delusione e anche il disprezzo verso i politici è endemica, molti miei coetanei non vedono più in Italia un futuro, una sicurezza. Recuperare una cosa del genere è un lavoro duro, e da queste parti il lavoro duro lo apprezzano in pochi.

mercoledì, maggio 16, 2007

Aggiornamento Iraq, seconda puntata

Non sembrerebbe, ma in Iraq succedono un sacco di cose. Anche se in tv si sentono sempre le stesse notizie (attentati – congresso contro Bush – attentati – ritiro) la situazione si sta evolvendo. Proviamo allora a stendere la seconda puntata dell' Aggiornamento Iraq, saltuario riassunto di ciò che succede in quel paese straziato.
Vediamo la situazione generale. A Baghdad il piano di sicurezza sta dando risultati. Come ho già scritto nell' articolo precedente, la città che primo pullulava di quartieri in preda a milizie e terroristi è stata ripulita in molte sue parti e adesso gli estremisti colpiscono quasi esclusivamente con autobombe in luoghi popolati, riuscendo a infilarsi nelle maglie della sicurezza. E' fuori dalla capitale che al momento si svolge la maggior parte dell' azione: precisamente, le truppe della Coalizione insieme a quelle irachene stanno colpendo le province sunnite di Anbar e Diyala per cercare di sgominare Al Qaeda, principale autrice degli attentati, dove è più forte. Qui abbiamo due ottime notizie; i sunniti in Anbar si sono uniti nell' Anbar Salvation Council, un consiglio delle maggiori tribù rivoltatesi agli opprimenti terroristi, che in quelle zone si sono imposti con la paura sulle popolazioni. Questa nuova formazione, alleata con la Coalizione, ha riscosso importanti successi contro Al Qaeda e negli scorsi giorni ha persino annunciato di aver ucciso Abu Ayyub al Masri e Abu Omar al Baghdadi, il capo dei terroristi in Iraq e quello dello Stato Islamico dell' Iraq, insomma i due maggiori pezzi grossi di Al Qaeda nella nazione. Più tardi si è scoperto che al Masri è in realtà vivo, mentre ci sono dubbi su al Baghdadi, dal momento che la sua identità non è chiara e il suo potrebbe essere uno pseudonimo. Sono stati comunque catturati o uccisi in Anbar molti terroristi e resta il fatto che l' Anbar Salvation Council, gruppo di sunniti, sta battendo al Qaeda, cosa impensabile fino a poco tempo fa. Inoltre gli stessi individui hanno fondato anche una forza politica, l' Iraqi Awakening (risveglio dell' Iraq) che va ora a fare concorrenza all' altro partito sunnita, l' Iraqi Islamic Party, con posizioni più laiche e più lontane dagli estremisti.
Ispirati da queste notizie anche i sunniti di Diyala si sono uniti con il nome fantasioso di Diyala Salvation Front, intenzionati ad agire come i loro cugini di Anbar e liberarsi di Al Qaeda. Sembra che le tribù sunnite, dopo un iniziale appoggio dato ai terroristi, abbiano deciso di cambiare fronte in seguito alla ferocia con la quale questi cercavano di imporsi e all' idea che prima o poi la Coalizione l' avrebbe spuntata su di loro. Ma di questo naturalmente non si sente nulla al telegiornale.
Nel frattempo le forze della Coalizione si sgolano per dimostrare – come se ce ne fosse ancora bisogno – il coinvolgimento dell' Iran nella violenza irachena. Esistono canali di movimentazione di armi ed equipaggiamento fra i due paesi ed è ormai certo che l' Iran aiuti non solo le milizie sciite ma anche i terroristi sunniti. Ogni giorno vengono importate bombe da usare come trappole con la tecnologia EFP (Explosive Formed Penetrator) particolarmente efficaci contro le corazze dei veicoli. Tutto questo aggrava i rapporti fra Stati Uniti e Iran, e il rapimento dei marines britannici non è stato che un episodio di una guerra fredda la cui conclusione non è assolutamente chiara. E' innegabile infatti che gli Ayatollah siano sponsor della violenza in Iraq: c' è il traffico di armi, l' uso delle forze speciali Qods contro la Coalizione, l' attività dei servizi segreti iraniani a confermarlo; d' altro canto la leggerezza con cui l' Europa tratta l' Iran, l' appoggio fornitogli da Russia e Cina, il fatto che le forze militari statunitensi siano già impegnate su due fronti impedisce una reazione fulminante dell' America, che ostenta forza ma per un altro po' di tempo avrà difficoltà ad applicarla contro le truppe di Ahmadinejad. A proposito, è interessante considerare la situazione di Al Sadr, il predicatore iracheno vicino all' Iran che ha a disposizione un esercito di alcune migliaia di uomini, l' esercito del Mahdi, ma che dopo l' applicazione del piano di sicurezza ha tagliato la corda per rifugiarsi dagli Ayatollah. Ora la sua formazione politica ha lasciato il governo iracheno (era ora) e la sua milizia viene colpita ancora più duramente dalla Coalizione. Bene. Risulta invece snervante l' intenzione del parlamento iracheno di fare una pausa estiva di due mesi mentre ci sono da votare leggi importantissime come quella sul petrolio e i vari partiti stanno negoziando, chi più sinceramente chi meno, per arrivare ad una conclusione.
In sintesi, abbiamo sia buone che cattive notizie. Resta l' amarezza, come sempre, che chi ci informa fornisca solo quelle di un certo tipo e il potere che ha di cambiare l' opinione della gente possa influire anche sull' andamento del conflitto. L' Iraq è un paese che oggi combatte per la propria libertà e in caso di successo sarà uno smacco tremendo per l' islamismo violento, oltre che una democrazia e un alleato dell' Occidente piantato in mezzo al Medio Oriente. Ce la può fare? Certo, continuando così ce la farà. In effetti ora più che il combattimento sul campo è da temere il crollo dell' home front e le decisioni che i democratici americani, oggi drammaticamente simili per ottusità e mediocrità alla sinistra europea, possano prendere attraverso il Congresso. Se riuscissero a far passare una legge contenente una tabella dei tempi per il ritiro delle truppe avremmo una situazione davvero pericolosa, con un paese in bilico lasciato nelle mani dei fanatici e degli assassini. Speriamo che un presidente con nulla da perdere, ma comunque con un buon fegato come Bush riesca attraverso i veto e l' azione politica che gli è possibile ad evitare questa eventualità.


Aggiungo alla lista dei siti per farsi una vera idea di quel che succede in Iraq quello di Bill Roggio, giornalista in quel paese che fa un lavoro straordinario e che circa ogni due giorni ci aggiorna su quel che succede:

The Fourth Rail



giovedì, aprile 19, 2007

Un agile nemico

Quasi duecento morti. Questo è il risultato di una giornata di attentati a Baghdad. I terroristi di al-Qaeda, da buoni vigliacchi, ora preferiscono colpire con autobombe i punti più affollati della città. Cosa vogliono raggiungere? Prima di tutto erodere la fiducia nel piano di sicurezza in atto da due mesi in tutto il paese e specialmente nella capitale, secondo riaccendere i fuochi tra sunniti e sciiti. Allora questo piano di sicurezza è da buttare via, Bush ha fallito, come abbiamo sentito in TV? No.
Semplicemente già da come era stato strutturato, il piano non era fatto per opporsi ad attacchi di questo tipo. Una maggior quantità di truppe è servita a rastrellare la capitale e ripulirla da tutti quei gruppi armati che la popolavano, e questo ha funzionato bene: Baghdad non ha zone franche controllate da milizie locali come prima, o perlomeno ne ha molte meno. Era chiaro tuttavia, e probabilmente i comandi americani lo sapevano già dall' inizio, che sarebbero servite a poco per evitare attentati con autobombe fabbricate nei pericolosi territori fuori dalla capitale e portate in città solo per essere esplose. Per questo le truppe della coalizione stanno colpendo i rifugi dei terroristi nella provincia di Al-Anbar e in quella di Diyala, per stroncare questa attività sanguinosa. E' un lavoro più lungo di quello di Baghdad: parliamo di chilometri quadrati di deserto difficili da controllare. Al-Qaeda si è dimostrata estremamente efficace nell' adattarsi al piano di sicurezza, più efficace delle milizie sciite che sono state colpite più volte, ma ha subito perdite: per un qualche motivo, infatti, i guerriglieri sunniti non Al-Qaeda si sono staccati dai seguaci di Bin Laden e in Al Anbar si è riuscito a mettere le tribù sunnite locali contro i terroristi, fatto a cui sono conseguiti numerosi scontri fra le due parti. Purtroppo dovremo abituarci e soprattutto dovranno farlo gli iracheni, a attacchi simili a quelli visti ieri: nel breve termine è difficile fermarli. Ma da qui a dire che il piano di sicurezza non sta funzionando c' è una lunga strada.

martedì, aprile 17, 2007

Trecento volte 300

Poche volte capita di uscire dal cinema scossi e eccitati come dopo aver visto 300. Non è una cosa capitata solo a me, è un effetto che fa a molti. Questo film è forte, intenso, possente. E' basato sulla battaglia delle Termopili dove Leonida lo spartano al comando della sua guardia personale di trecento uomini e di un contingente di poche migliaia di greci fermò le armate da decine di migliaia di uomini di Serse, re dell' impero persiano. Gli spartani e i loro alleati combatterono valorosamente e trattennero le forze tremendamente più numerose dei persiani per giorni, fino a quando non vennero presi alle spalle con il tradimento e trucidati. Il loro sacrificio ispirerà tutti i greci a combattere contro l' invasore e darà loro tempo per organizzarsi e sconfiggere Serse a Platea.
300 traspone fedelissimamente il fumetto di Frank Miller su celluloide e quindi parlare di uno, a livello di contenuti, è come parlare dell' altro. La rappresentazione è a tinte fortissime e nasconde bene l' utilizzo totale, tranne che per i personaggi, della computer graphic, i suoni sono ampliati, hanno echi lunghissimi, il combattimento è fluido, elegante, sublime a volte, altre è duro, sporco. L' evento storico viene preso e idealizzato, esasperato. Gli spartani, in realtà completamente corazzati di bronzo, sono trasformati in uomini muscolosi (ma non è un muscolo di vanità, è un muscolo da guerriero) nudi, coperti solo da mutande metalliche, un enorme scudo da falange e uno stupendo mantello rosso che traspira testosterone. I persiani invece sono a volte raffigurati verosimilmente, altre diventano orchi degni della Terra di Mezzo che si portano dietro rinoceronti corazzati e elefanti. In realtà il film mette a nudo il cuore dei personaggi nella sua rappresentazione
. I guerrieri spartani sono belli e forti perchè il loro animo è forte, deciso, puro anche nella crudeltà di questi massacratori tremendi. I persiani sono brutti perchè la loro causa è cattiva e seguono il volere del tiranno Serse, effeminatissimo gigante lampadato e depilato. Gli efori, sacerdoti (solo qui, in realtà erano politici) malvagi, sono vecchi con il viso in cancrena proprio a causa della loro corruzione. Il ruolo dei personaggi si riflette nel modo in cui vengono disegnati.
Non bisogna prenderlo come un film storico: è un' opera travolgente e fortemente idealistica nel senso più alto del termine e il suo fine non è la descrizione di un evento. Sebbene gli avvenimenti siano fedeli a quelli storici, il modo in cui si svolgono è volutamente esagerato. Ho sentito due giudizi su questo film: “stupendo” o “fa schifo”. Ma nemmeno i secondi hanno potuto negarne le qualità tecniche e la realizzazione grandiosa.
Ma sotto al sangue, alle spade, agli addominali e alle migliaia di frecce c' è un film che va oltre il tripudio visivo. 300 è un film e un fumetto dal contenuto, per chi sa coglierlo, fortissimo, ed è proprio questo che mi ha colpito di più. Il fulcro del film è quando il re Leonida, in un colloquio mai avvenuto con Serse che promette di fare in modo che che mai nessuno ricorderà la sua folle impresa, risponde:


Il mondo saprà che uomini liberi hanno lottato contro un tiranno, che pochi hanno lottato contro molti, e, prima che questa battaglia sia finita, che anche un dio re può sanguinare”


Qui c' è la vera battaglia in corso alle Termopili: quella della libertà contro il despotismo, degli uomini valorosi contro migliaia di schiavi costretti a combattere e la battaglia della ragione contro il misticismo. Non c' è da meravigliarsi che il film sia stato stroncato da sinistra, integralisti islamici e iraniani, come eredi dei persiani. 300 pone da una parte i greci liberi, prodi e amanti della ragione e dall' altra i persiani schiavi o tiranni, deboli, attaccati a un misticismo che ritiene un re una divinità. A grandi linee è storicamente vero, anche se lo fa ignorando gli eventi reali in alcuni punti, ma la cosa buona è che non tenti la minima deriva nel politically correct per evitare di offendere qualcuno come invece hanno fatto Troy e Le Crociate, che infatti non si sono rivelati così emozionanti. Ahmadinejad ha detto che offende il grande passato dell' impero persiano, i critici molto colti e di sinistra che in realtà gli spartani non erano così buoni e che Serse non era depilato. Ma non capiscono che non conta che i persiani non fossero orchi (si capisce) e che gli spartani fossero schiavisti a loro volta (è vero), conta che i persiani erano servi del re, che gli spartani erano uomini liberi e tutti, persino il re, dovessero sottoporsi alle Leggi. E non devono offendersi se Frank Miller li raffigura così, perchè a lui quello interessa rappresentare: la lotta di alcuni uomini liberi contro un' armata di invasori, una lotta senza la quale il mondo di oggi non sarebbe così, e questo non è un film storico.
I paragoni con il mondo odierno vengono facili: l' armata di Serse sono i fondamentalisti islamici, i greci sono i pochi occidentali che vogliono resistere. Terone, il politico corrotto spartano che rema contro Leonida e favorisce un appeasement con i Persiani (che vuol dire sottomissione) parla come uno di Rifondazione nel nostro parlamento, davvero. C' è il dubbio che il film sia stato fatto con un vero riferimento politico ed effettivamente quando vediamo Leonida che decide se inchinarsi a Serse, salvare la vita del proprio popolo ma privarlo della libertà oppure combattere con tutte le proprie forze per tenerlo libero viene in mente la scelta che molti oggi devono fare. Il problema è che oggi non arriva un re su un trono argenteo a obbligarti a servirlo, oggi il nemico è molto più subdolo e i guerrieri spartani sono molti meno. Quanti oggi non si inchinerebbero davanti al gigante lampadato pur di aver salva la vita e la “pace”?

Conclusione: 300 è un film netto, potente. Se apprezzate una realizzazione magnifica e una storia emozionante, vi piacerà. Se amate le storie di uomini e donne che danno tutto per difendere la libertà dei propri figli e si scontrano con nemici enormi contro ogni possibilità pur di mantenerla, non potete perderlo.

martedì, marzo 13, 2007

Aggiornamento Iraq

Per chi si affida solo alla televisione, capire cosa succede in Iraq è veramente difficile. Ogni giorno abbiamo solo notizie di attentati e morti, effettivamente sembra che in quel paese non accada altro. Ma non è così. Ci sono, è vero, ancora molti attentati e ancora molti morti ma la situazione è molto più dinamica di quanto sembri. Trovare altre informazione oltre al conto delle uccisioni è difficile in televisione, un po' meno sui giornali; se si sa dove cercare è più redditizio Internet. Qui riusciamo, se sappiamo dove cercare, a trovare qualcosa di utile e diverso dal solito. Allora vediamo cosa succede in Iraq.
Prima di tutto, bisogna sottolineare che la maggior parte dell' azione si svolge a Baghdad. La capitale era caduta in molti suoi quartieri in mano alle milizie sunnite o sciite, a volte molte zone erano controllate da criminali che per comodità si davano una caratteristica ideologica di un qualche tipo e i morti erano all' ordine del giorno. Il piano di Bush era di imporsi con la forza sulle milizie e i terroristi attraverso truppe americane e irachene e polizia, utilizzando i militari per pulire i quartieri a rischio e presidii stabili per impedire che dopo la tempesta tornassero i violenti. A quanto pare la tattica è stata messa in pratica e l' operazione "Imporre la Legge" il cui nome originale è in arabo, è partita e gli organizzatori vogliono sottolineare la sua natura irachena. L' utilizzo di truppe e polizia irachene è infatti forte ed è stato lo stesso Al-Maliki, il presidente, a dare il via. Le truppe americane sono ovviamente necessarie per le situazioni più gravi, ma c' è la volontà di permettere agli iracheni di conquistare la propria sicurezza. Ogni giorno sui siti dei comandi militari troviamo notizie di molti terroristi uccisi o catturati, notizie che da noi arrivano quasi mai.
La risposta degli avversari è stata un cambio di tattica. Sapendo di non poter competere in una battaglia frontale le milizie sciite sono in parte fuggite dalla capitale e in parte hanno scelto di assumere un basso profilo, mentre i sunniti hanno ridotto la loro attività ai sanguinosi attentati contro la popolazione, spesso nei mercati, che possono essere attuati senza esporsi ma causano molti morti. Chi ha tentato di resistere nei quartieri attaccati da americani e iracheni non ha retto per molto.
La vita ora a Baghdad è diversa. A quanto dice Iraq the Model i checkpoint in giro per la città sono molti, di militari e polizia e soprattutto cambiano spesso posizione per non essere bersaglio dei terroristi. Qualunque mezzo passi da qui deve fermarsi, vengono controllati gli occupanti e gli oggetti all' interno. La cosa causa molti rallentamenti al traffico, ma a quanto pare per una maggiore sicurezza sono in pochi a lamentarsi. E' stato anche imposto un regime di targhe alterne, non per questioni di inquinamento ma per avere meno macchine sulle strade e a quanto pare "Imporre la Legge" viene preso alla lettera, tanto che la polizia non è solo a caccia di terroristi ma punisce severamente anche infrazioni minori, per far capire che la legalità è da farsi fino in fondo (verrebbe utile anche in qualche città qui da noi). Un altro dato è il ritorno delle famiglie nei loro quartieri, dai quali erano scappate per disperazione. Ora che queste zone sono state ripulite molti provano a tornare nelle proprie case.
La pulizia dei quartieri è però solo una parte del piano. Se ci si limitasse a questo, ai cattivi basterebbe stare buoni per un po' e tornare in azione una volta passati i militari. Si cerca invece di lasciare sempre presidii di polizia o truppe nei quartieri liberati e inoltre è in atto la rivalutazione di molte zone della città. Iraq the Model dice che "è un necessario vento di speranza e normalità per questa città traumatizzata" e si può ben capire. Inoltre il piano generale prevede ampi investimenti sull' occupazione, sull' economia e le infrastrutture. Bisogna fare di tutto perchè quando l' operazione sarà finita e i terroristi proveranno a tornare nei loro quartieri trovino un ambiente almeno inospitale.
In giro per il paese vediamo le truppe in azione in altre zone, soprattutto le città sunnite, per imporre il controllo. In generale l' Iraq è in una situazione difficile e molti, soprattutto i vicini timorosi di una democrazia, tifano per un suo crollo ma se l' operazione riuscirà a far capire chi è il più forte allora la stessa politica irachena potrà trovare più stabilità e diminuire così ulteriormente la violenza. La strada è lunga e scomoda però.

Se a qualcuno interessa dove trovo le informazioni, ecco qua (purtroppo sono tutte in inglese):

http://iraqthemodel.blogspot.com/ Iraq the Model, sito che ho già citato, è gestito da due iracheni che scrivono direttamente dalla capitale. Utilissimo per capire cosa succede dal punto di vista della gente del posto

Centcom e MNF-Iraq, i siti del Comando Centrale Americano e della Forza Multinazionale in Iraq, danno quotidianamente notizie sui terroristi uccisi o catturati o sulle perdite della Forza Multinazionale.

Yahoo! Iraq Qui troverete naturalmente soprattutto brutte notizie dull' Iraq, essendo una raccolta di media occidentali. Ma bisogna leggere anche quelle.

Aswat al Iraq Sito iracheno ricco di notizie, anche se non approfondite.


Quando troverò altri siti utili naturalmente aggiornerò la lista.

martedì, febbraio 27, 2007

Grossi movimenti

Dopo la rovinosa caduta che tutti prima o poi si aspettavano, il governo Prodi ci riprova. Non si sa con quale speranza di poter fare qualcosa o con quale progetto per il futuro, ma torna alle camere per la fiducia e almeno quella probabilmente gli verrà accordata. Dopo però, su ogni tema caldo, e con certi alleati i temi caldi sono molti, torneranno a litigare. A trattenerli dallo spaccarsi di nuovo ci sarà solo la paura di veder tornare l’ uomo di Arcore. Mercoledì scorso fu solo quella a non far disintegrare la maggioranza, si vedeva chiaramente che dal voto del pomeriggio alla sera tutti si rendevano conto che la strada per Berlusconi verso le elezioni e la vittoria era aperta. Manuela Palermi a Ballarò e il giorno dopo a Porta a Porta ha reso l’ idea chiaramente, dicendo che aveva l’ incubo di riconsegnare l’ Italia a chi ha lasciato dietro di se “precarietà, conflitto di interessi, leggi ad personam” e così via. La coalizione è tenuta insieme solo dalla paura. Probabilmente si spaccherà entro settimane o mesi, oppure andrà avanti cercando di fare il meno possibile per evitare problemi. Data la fragilità di questa maggioranza, il punto è un altro.
Stiamo assistendo a un massiccio movimento nello scenario politico italiano. A sinistra Margherita e DS si sono resi conto che governare con comunisti e verdi non è possibile. Dopo questa figuraccia la loro immagine è stata degradata, sembra difficile che trovino il coraggio di ripresentarsi insieme e ancora più difficile che qualcuno creda che possa funzionare. I riformisti dovranno allora scaricare i comunisti e offrire una nuova coalizione, ma se a sinistra si è già fallito alla loro destra l’ unica opzione è l’ UDC che per ora non accetta cambiamenti di campo e che comunque come peso non può equivalere a PRC-PCI-Verdi. Nel centro destra la situazione non è molto migliore però. L’ UDC non vuole tornare nella Cdl, è bloccata fra i due schieramenti e francamente per ora non ci sono per lei molte vie d’ uscita. Forza Italia segue i passi del suo capo (che a dire il vero adesso non si fa molto sentire, probabilmente per non ricompattare l’ Unione) e non agisce, non approfitta del suo peso politico. Con An i rapporti non sono stupendi, quando si doveva andare da Napolitano i due partiti non hanno trovato una posizione comune e questo ha indebolito ulteriormente la Cdl. Invece che chiedere le elezioni anticipate, che probabilmente avrebbero portato ad una vittoria, Forza Italia si è limitata a contrastare un Prodi bis e Fini ha detto semplicemente che il nuovo governo avrebbe dovuto contare su una maggioranza politica, senza i senatori a vita. Più tardi sembra che Berlusconi si sia lamentato dell’ alleato che non avrebbe chiesto il ritorno alle urne proprio per evitare che l’ ex-premier gli soffi il posto per un altro quinquennio. La Lega dice che resterà a tempo nell’ alleanza e una legge sulla devolution potrebbe far cambiare loro idea. La situazione è così bloccata. Che domani il nuovo governo ottenga la fiducia o no, ci troveremo a breve nella precarietà delle alleanze, con i riformisti che non sanno cosa fare per non dipendere dai comunisti e avere la maggioranza, Forza Italia che non sa cosa fare per portare la coalizione al governo, l’ UDC che non sa cosa fare per fare il grande centro e AN che non sa cosa fare per far diventare Fini capo della Cdl. Può venire fuori di tutto: potrebbe tornare tutto come prima, potrebbe farsi una super alleanza dai DS a AN, si potrebbe escludere le ali estremiste degli schieramenti. Una cosa che potrebbe cambiare le carte in tavola potrebbe essere la possibilità di una grande coalizione che metterebbe insieme partiti come Margherita e AN, colpendo così comunisti, verdi e Lega. Probabilmente nei prossimi mesi la situazione politica italiana cambierà e come non vedevamo da molto tempo. Questa storia sarà da seguire.

sabato, febbraio 17, 2007

La marcia degli inerzisti

A Vicenza non sarà il popolo dei vicentini che non vogliono una caserma di fianco ad un areoporto a manifestare. Sono il "popolo della pace", come si vogliono chiamare, ovvero il popolo degli antiamericanisti. Le ragioni che guidano la protesta non sono di sicuro di tipo ambientale, perchè devono spiegarci come una caserma inquini, neanche di tipo urbanistico, visto che tutte le spese per le infrastrutture in più saranno sostenute dal Dipartimento della Difesa americano, tantomento di tipo economico, visto che la nuova base fornisce lavoro e movimenta i consumi della città (gli americani non badano a spese). La ragione, lo sappiamo tutti, è una: l' odio verso gli Stati Uniti. Non è la caserma l' oggetto della manifestazione, è l' intero apparato militare americano in Europa, la politica estera statunitense, il modo di essere americano. Quelle basi che a spese americane ci hanno permesso di vivere in tranquillità per sessant' anni mentre noi mettevamo i soldi che di solito si spendono in difesa in previdenza sociale e servizi ai cittadini sono viste con odio, abitate da forze di occupazione che vogliono fare dell' Europa un continente servo dell' America. E' chiaro che non è così. Quelle truppe ci hanno protetto durante la Guerra Fredda, senza di esse saremmo stati velocemente annessi all' Unione Sovietica. Ora servono per combattere il nuovo nemico dei nostri tempi, il fondamentalismo islamico.
L' Europa, che usa appaltare la propria difesa agli altri per poi coprirli d' insulti, non è in grado nella sua effeminatezza di badare a se stessa ma si pensa abbastanza superiore agli altri per poterli giudicare. Così gli americani sono tutti (a parte Hillary e Barack) dei guerrafondai pronti a sparare, dei bambinoni con i fucili grossi, mentre noi siamo i fini che non hanno bisogno di fare la guerra perchè ormai ci siamo evoluti, con i nostri nemici dialoghiamo e viviamo da adulti. Inutile dire che gli Europei che la pensano così (non sono tutti) sono i veri bambini che si illudono di vivere in un mondo dove la pace è eterna e dalla Seconda Guerra non c' è più bisogno di combattere, che libertà e giustizia sono garantite e bisogna pensare solo ad abbassare l' età pensionabile e sovvenzionare i film d' autore. Chi sfila oggi a Vicenza è il pacifista dei giorni nostri, che non vuole pensare come si manda avanti il mondo, basta che gli americani non sparino. Molti sono in buona fede e credono veramente che in questo modo si faccia un mondo migliore, ma l' idea di pace che hanno è dannosa. Ci sono tante guerre nel mondo, molti uccidono, non importa. L' importante è che non le facciano gli americani. Non ha idee su come affrontare i nostri nemici, lui vuole che le cose restino così, che nessuno si muova, che tutti si vogliano bene senza un motivo. Vuole l' inerzia, l' inazione. A Vicenza oggi si marcia per questo.

martedì, gennaio 30, 2007

Cancelliamo Ahmadinejad

Ci vuole davvero cattivo gusto e una grande dose di malvagità per agire come il presidente iraniano ultimamente. Arrivare il giorno in cui si commemora lo sterminio di milioni di persone a proporre di ripetere il fatto richiede molta cattiveria, un odio profondo, un disprezzo totale per la natura umana. Che poi il resto del mondo senta queste parole e non faccia niente implica una grande stupidità da parte del resto del mondo.
Questo Mahmoud Ahmadinejad, nato nel 1956, prima di diventare il sesto presidente dell' Iran era il sindaco di Teheran e fece capire il personaggio costruendo in città un viale molto largo per prepararla all' arrivo del Mahdi, una figura religiosa cara a molti sciiti che un giorno dovrebbe tornare sulla terra e portarvi pace e giustizia. Di sicuro non parliamo di un moderato. E' questa la caratteristica principale dell' uomo: un fanatismo tremendo affiancato a lucidità ed attenzione che usa abilmente per raggiungere i propri fini. Il suo Iran vuole diventare potenza regionale e spera di farlo inserendosi silenziosamente nei punti caldi del Medio Oriente. Vediamo il Libano, dove la sua Hezbollah cerca di andare al governo, oppure l' Iraq. Teheran invia le proprie truppe scelte per aiutare i fondamentalisti dove questi combattono contro Stati Uniti, Israele, governi locali. Vuole così mettersi a capo della lotta contro gli infedeli e guadagnare un posto da grande, perchè è in grande che pensa. Così grande che adesso vorrebbe sviluppare la bomba atomica. Il momento è dei migliori: caos nella regione, gli Stati Uniti in difficoltà, Israele che sta attenta alla Palestina, l' Europa rimbambita sulle questioni di politica estera e incapace di qualsiasi azione. Così, pur sapendo che tutti sanno, il nostro Ahmadinejad dichiara di volere l' energia nucleare solo per scopi civili e gli europei, che ancora credono nel dialogo, fanno finta di credergli, i russi e i cinesi, suoi grandi alleati contro l' America, danno una mano. A suon di veti di le sanzioni contro l' Iran fanno fatica a passare all' ONU e ogni iniziativa per bloccare la costruzione di armi nucleari viene rallentata dalla macchinosa diplomazia, ogni colloquio viene usato per guadagnare tempo. Così un giorno, mentre saremo ancora qui a dirci che c' è spazio per la mentalità del dialogo amichevole, l' amico Mahmoud ci apparirà in televisione con alle sue spalle le immagini di scienziati in tuta bianca che lavorano freneticamente o che festeggiano e il succo del suo discorso sarà più o meno "Eccomi, ho la bomba atomica. E ora chi ci si oppone? Chi ci ferma dal violare i diritti umani, creare tensione nel Medio Oriente, diventare gli egemoni della regione? Vogliamo parlare anche di Israele?".
Stiamo lasciando che l' Iran, una repubblica teocratica islamica, diventi una potenza nucleare nella zona più calda del mondo e per di più nelle mani di un fanatico con manie di grandezza distruttive. Cosa si può fare per evitare un disastro? Naturale: bisogna fermare Ahmadinejad. Lui vuole cancellare gli altri, noi dobbiamo cancellare lui. Non per forza in modo fisico, ma almeno togliergli una nazione dalle mani, anzi togliere una nazione da un regime che la opprime da troppo. Caduto l' Iran, si risolverebbero molti problemi in Iraq, Hezbollah non avrebbe più il suo finanziatore, avremmo un' altra democrazia in Medio Oriente. Farlo cadere non è facile, di sicuro più difficile che conquistare l' Iraq, ma la stabilizzazione del paese sarebbe meno dolorosa per l' assenza di grosse divisioni interne. Inoltre l' opposizione al regime esiste ed è diffusa ma viene tenuta a bada con metodi repressivi (repressivi è riduttivo, a dir la verità). Quindi con un attacco da fuori o con una insurrezione, o entrambi, si potrebbe eliminare la minaccia. Ma, purtroppo, è molto più probabile che Ahmadinejad ottenga il suo giocattolo prima che qualcun' altro oltre agli Stati Uniti decida di fare qualcosa. A forza di dialogo gli iraniani prenderanno il tempo che serve.

Prendi un fanatico che dice di voler cancellare Israele e lasciagli costruire una bomba atomica. Poi aspetta il risultato. Qui si spera che in realtà Ahmadinejad non sia troppo aggressivo. Per questo è da ricordare che ottantadue anni fa un uomo scriveva in una prigione un libro. In questo era spiegato tutto quello che lui avrebbe fatto una volta ottenuto il potere. Arrivò al comando della Germania e gli altri potenti pensarono e sperarono che alla fine non fosse così pericoloso. Invece Hitler fece tutto o quasi quello che aveva scritto nel libro. Dovremmo imparare dagli errori.

venerdì, gennaio 12, 2007

La reazione degli iracheni alla nuova strategia americana

Prima di tutto, invito chi legge e chi sa l' inglese a visitare costantemente il blog IRAQ THE MODEL. Tutti gli articoli sono scritti da due blogger di Baghdad e fornisce informazioni che dalle altre fonti ci possiamo sognare, soprattutto i media di casa nostra. Ogni circa quattro giorni c' è un nuovo articolo che aggiorna sulla situazione in Iraq da un punto di vista diverso dal solito e fa capire molto di più delle nostre fonti abituali. Mi ha particolarmente interessato l' ultimo articolo, "Baghdad, between Maliki's plan and Bush's strategy..." in cui il blogger descrive le reazioni al discorso in cui Bush presentava la nuova strategia. A quanto pare la nuova fase è incominciata già da due giorni, dal momento che a quanto scrive Mohammed i combattimenti sono molto più duri del solito e vengono usate armi pesanti come aerei A-10 e elicotteri Apache. Seconda cosa, scrive che la capitale è nella situazione in cui alcuni quartieri fuori controllo sono diventate territorio delle milizie che ne fanno piccoli stati dove anche un appartenente alla loro etnia è in pericolo (questi quartieri sono il bersaglio della nuova strategia).
Veniamo poi a sapere che la mattina dell' 11 molti iracheni hanno acceso la radio alle 5 per sentire parlare Bush. E poi le reazioni: principalmente sembra che moderati, sunniti e sciiti, abbiano espresso un giudizio favorevole; naturalmente gli estremisti di entrambe le parti, colpiti dalla nuova strategia, non sono proprio felici. Da ricordare un dibattito in parlamento tra due sciiti: "L' Iraq non è uno stato americano e Bush deve consultarci prima di mandare truppe.." e la fiera risposta di al-Alusi, parlamentare che per il suo supporto all' America ha perso due figli in un attentato "Abbiamo un primo ministro ed è stato consultato. Tu e quelli come te non siedereste lì se l' America non ci avesse aiutato. Sono qui per proteggere questa democrazia e offrono quello che hanno per aiutarci con il problema della sicurezza, e voi cosa fate? Smettiamola con queste cose, ok? Vogliamo votare su questo? Bene, vediamo se vogliamo tutti votare" e nell' aula arriva il silenzio, non c' è bisogno di votazione. Concludendo, ad opinione di Mohammed la maggioranza ha apprezzato la strategia. Se c' è prima di tutto il supporto degli iracheni ci sono più possibilità di farcela.

giovedì, gennaio 11, 2007

Bush: un discorso per vincere

Quello di stanotte è stato uno dei più importanti discorsi che Bush ha fatto nella sua carriera da presidente. Ha ribadito prima di tutto la centralità della guerra in Iraq in quella più grande al terrorismo, ricordando le conseguenze disastrose di una sconfitta, ponendo quindi questo controverso conflitto in un contesto. E' partito dalle elezioni irachene di un anno fa per ammettere che il 2006 è stato dal punto di vista dei grandi risultati un anno sprecato e prendersene tutte le responsabilità, per poi annunciare di aver studiato una nuova strategia. Vediamola. Primo: tutto si concentra attorno a Baghdad. La cosa più preoccupante in Iraq è che la zona più violenta è proprio quella della capitale e perdere la capitale significa perdere il paese. La maggior parte del cambiamento si concentra quindi qui. I 20000 soldati chiesti in più andranno a saturare i quartieri della città, insieme ad un numero consistente di truppe irachene. E saturare significa che le tante truppe in più andranno in città e ripuliranno i quartieri violenti come prima, ma ora i soldati resteranno nei quartieri dopo averli pacificati per impedire un ritorno delle milizie. Le nove zone in cui è divisa la capitale saranno occupate costantemente da soldati iracheni e americani e questo è fondamentale, dal momento che finora molti di questi quartieri sono stati le basi operative dei terroristi. Altra novità importantissima è che ora, almeno a parole, il governo iracheno ha capito che non si può più limitare l' azione militare per motivi o minacce politiche, perciò non si dovrebbero più vedere situazioni in cui i soldati entrano a Sadr city per ripulirla ma i parlamentari di Moqtad Al-Sadr bloccano tutto minacciando di non appoggiare il governo. Bush sottolinea anche di aver chiarificato al primo ministro iracheno che gli americani non saranno sempre lì ad aiutarli e che se non si vedranno presto risultati perderà la fiducia del suo popolo. Gli addestramenti dei soldati iracheni sono velocizzati e tutte le nuove truppe americane saranno inserite in unità dell' esercito locale, tutto questo per passare agli iracheni la responsabilità della propria difesa. Sembra quindi che il presidente voglia - giustamente - usare il potere politico per appoggiare quello militare. Per porre solide basi al miglioramento punta sull' economia e il suo piano è quello di offrire ai giovani iracheni una possibiltà di realizzarsi, di distribuire alla popolazione i profitti sul petrolio, di far spendere al governo dell' Iraq dieci miliardi di dollari dei suoi (sottolinea suoi) fondi per la ricostruzione. Dal punto di vista diplomatico, annuncia l' invio della Rice in giro per il Medio Oriente per invitare i paesi vicini ad appoggiare il governo iracheno; accusa Iran e Siria di aiutare materialmente la violenza in Iraq e dice "interromperemo il flusso di supporto" da questi paesi, con questo probabilmente indica la volontà di colpirli quando agiscono in territorio iracheno.
La fine del discorso fa capire quanto la nuova strategia sia importante. Da qui esce l' idealismo di Bush e la sua visione della guerra al terrorismo come uno scontro tra le forze della luce e quelle dell' oscurità. Dice: "Lo scontro che si svolge in Medio Oriente è più di un conflitto militare. E' la lotta ideologica decisiva dei nostri tempi. Da un lato ci sono coloro che credono nella libertà e moderazione. Dall' altro gli estremisti che ammazzano gli innocenti e hanno dichiarato l' intenzione di distruggere la nostra way of life. Alla lunga, il modo più realistico per proteggere il popolo americano è presentare una alternativa all' ideologia dell' odio del nemico - propugnando la libertà attraverso la regione" e poi "è nell' interesse degli Stati Uniti stare al fianco degli uomini e delle donne che rischiano la loro vita per reclamare la libertà - e aiutarli mentre lavorano per far crescere società giuste nel Medio Oriente". Questo ultimo pezzo è dedicato di sicuro agli americani e contraddice le tesi dei democratici, molti dei quali chiedono un ritiro immediato e insinuano che l' Iraq non valga gli sforzi fatti.

Ecco dunque la strategia di Bush in Iraq. La strategia di un presidente che ha il vantaggio di non dover essere votato e che quindi può permettersi più degli altri. La strategia che potrebbe farlo ricordare come il presidente che fra mille difficoltà è riuscito prima a conquistare l' Iraq e poi a farne una vera democrazia o quello che non è stato in grado di finire il lavoro. Funzionerà? E' quello che avrebbe dovuto fare da molto. Meglio tardi che mai, comunque. Si può poi vedere che la strategia contiene molti punti interessanti e che l' uso della forza è coaudiuvato da azione politica e economia, che le truppe sembrano utilizzate meglio, che vengono loro tolti tutti quei vincoli che non le fanno funzionare bene. Potrebbe, quindi, con la volontà delle forze in causa, funzionare. Noi dobbiamo davvero sperare che funzioni.